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Indice Esterina De Rosa
 
 

Cara naso

 
"Profumi natalizi"
 

Caro naso ti voglio raccontare una cosa che mi è accaduta e per certi versi ti riguarda: da sbadata quale sono, il tre novembre ho rischiato di fare l'albero di Natale.
Infatti il giorno che segue quello mesto in cui ci si incontra in gramaglie al cimitero per rinnovare “quella celeste corrispondenza d'amorosi sensi” di foscoliana memoria, io ero leggermente distratta e non avevo ancora allertato i miei neuroni a possibili incursioni ammalianti provenienti dall'etere.
Per cui stesa sul divano, abbioccata, subivo gli spot pubblicitari che mi mostravano bambini con cappellino in panno rosso bordato di bianco i quali, con sottofondo il jingle di White Christmas, invitavano a comprare questa o quella strenna.
Capperi, dissi tra me, già è il mese del Natale, come vola il tempo!!
Allora mi scossi dal torpore novembrino e salii in soffitta, presi lo scatolone dell'albero finto, il contenitore di addobbi di plastica e portai giù tutto, pronta per iniziare l'usuale rito mediatico del Natale.
Poi mi feci brevemente i conti e quando realizzai la verità, rossa dalla vergogna, riposi alla chetichella tutto al loro posto, sperando che nessuno della famiglia se ne fosse accorto.
Ma dopo aver ricollocato l'albero nel sottotetto e l'aria di natale nel solito ripostiglio della mia scatola cranica, mi son seduta a riflettere.
Io mi sono sbagliata quel giorno, caro naso, perché ti ho ignorato, non ho aspettato che mi avvertissi quando era ora, mi sono ingenuamente fidata degli occhi che mi mostravano che era quasi Natale!
Invece tu, nostro Hermes, veritiero messaggero che preannuncia un arrivo, sei il solo che sa vellicare le nostre mucose per avviare il preludio, che è il tempo occorrente per costruire una gioia.
Una volta infatti ti accorgevi che era Natale perché già i primi giorni di dicembre nell'aria sentivi indefiniti odori vestiti di passato che solleticavano i tuoi ricordi; essi diventavano poi sempre più decisi man mano che ti avvicinavi al 25 dicembre perché Natale non era un frammento di tempo, ma una bellissima geisha la cui vestizione aveva bisogno di tempo e ritualità per essere completa.
Natale era un'attesa, uno stato d'animo, una condizione di spirito, era un'essenza: la cannella dei mostaccioli, i chiodi di garofano, la resina delle pigne dell'abete, il miele caldo che sposava gli struffoli, l'afrore umido del muschio per il presepe, gli zampognari per le strade, le bucce di arancia bruciate nel camino.
Era l'alloro arso alla fiamma per insaporire la carne di maiale macellato tra le feste che diventava occasione di sana convivialità a cui partecipava tutto il vicinato.
Era l'incenso della mezzanotte quando potevi finalmente adagiare nella culla di paglia il bambinello di gesso abilmente tenuto nascosto dietro la capanna da ben 17 giorni. Era il faticoso cammino dei Magi che per fare quel metro che li separava dalla capanna impiegavano 15 lunghi giorni oltrepassando montagne e vallate. Era la tombola con i fagioli o il coro stonato di San Silvestro che cantava alle porte “…oggi è calenne, rimani gli'annu nuovu…”.
Era infine l'adrenalina dell'arrivo della vecchina, la signora Epifania che tutte le feste porta via, che non ti faceva dormire perché poteva essere crudele e rifilarti un pezzo di carbone nell'unica occasione che avevi durante l'anno per avere un regalo e per questo ardentemente desiderato.
Ma la cosa più bella, mi si consenta l'ossimoro, era la tristezza del 7 gennaio quando a malincuore si chiudeva lo scatolone sulle emozioni e non si riapriva più, nemmeno col pensiero perché l' inflazione riguardo alle feste era una parola sconosciuta.
Passavano poi mesi anonimi ed era proprio questa lunga vigilia, questa quaresima tra una ricorrenza e l'altra che dava vigore ad ogni festività e scandiva il tempo della gioia.
Infatti, ad un tratto, un altro effluvio, una nuova sinapsi che diventava l'ouverture per un'altra trepidazione con i suoi specifici cerimoniali.
Ora tutto perduto!
Oggi non esiste più il Natale, dolce connubio tra suoni, aromi, colori, sapori diversi, unici, connotanti. Oggi esistono i cibi, gli addobbi, i regali, i dolci e le canzoni e scatoloni che non vengono più chiusi ermeticamente.
Oggi mangiamo il panettone quando ne abbiamo voglia, compriamo le strenne da mettere sotto l'albero a novembre così ci togliamo il pensiero, portiamo al pranzo di ferragosto gli struffoli “perchèpiccolicomelisofareiononlisafarenessuno” e, fronzolo patetico, lasciamo tutto l'anno sul grande pino in giardino la serie di luci natalizie così ce le troviamo già messe.
E perdiamo l'occasione di costruire ogni volta il Natale, sempre uguale ma sempre diverso perché è un anno diverso e soprattutto noi non siamo gli stessi dell'anno passato!
Adesso ci confondiamo, non sappiamo più chi è chi e chi è cosa, non abbiamo più scatoloni da aprire perché li abbiamo lasciati da tempo aperti e gli aromi si sono mischiati come quando mischi i tanti bei colori brillanti della plastilina e alla fine ti ritrovi con una grossa palla grigiastra della quale non sai che farne. E' triste! Perciò torna, cara e bellissima protuberanza aquilina o dantesca o gibbosa o adunca che imperi sul nostro volto, riconquista la tua notevole collocazione estetica e funzionale perché senza te che eri il picchiotto della porta delle nostre suggestioni, ci pervade il tedio che è assenza di desiderio.
Aiutaci tu a ritrovare gli odori, a connotarli e a rimetterli nello scatolone giusto così quando lo riapriamo le fragranze possano entrare in noi attraverso te e farci pregustare di nuovo l'attesa che è quella che tara l'intensità della bilancia della nostra gioia.
Per questa ragione a tutti auguro una lunga, bellissima, odorosa vigilia. Buon Natale.

Esterina De Rosa
(da Il Sidicino - Anno VII 2010 - n. 12 Dicembre)