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L'eterno femminino (II parte)

 

(oltre ogni tempo e tuttavia nel cuore del tempo)

Donna: mistero senza fine bello
(Guido Gozzano)

Non è un caso infatti che, mentre la femmina cretese ostenta i propri attributi materni, i seni nudi, il maschio resta incistato nella propria virilità, il labirinto. In Egitto, Osiride sostituisce la rappresentazione umana del Sole. Per rinascere ogni mattina, deve morire ogni sera, mentre nella notte scivola lungo il fiume sotterraneo, il Duat, nell'agile barca che solca l'acqua della vita. Nelle società originariamente matriarcali il ruolo del maschio era limitato alla fertilizzazione della femmina. L'elemento maschile, socialmente in subordine, era di fatto rappresentato dal Toro, personificazione della potenza virile. Vita e morte scandiscono cosí la vita della specie con un ricambio senza fine che si modella sul ritmo della natura, dell'alternarsi di notte e giorno, dal tramonto all'alba, dalla morte alla vita. Il simbolo geroglifico o icona di questo processo è costituito dall'Albero della vita che trova spazio in tutte le religioni. Esso trova rispondenza nei percorsi rituali dei piú antichi templi. I simboli di Iside e Osiride sono divenuti il segno di tutte le apparenti contrapposizioni della vita che si perpetua alla ricerca di una sintesi del molteplice. Iside è la signora del Tramonto, è l'attesa che incarna la speranza di nuova vita, è il trono della notte, colei che sorge al tramonto .L'eterno femminino è il geroglifico della Luna che illumina il buio della notte è la luce che deriva dalla sintesi sottrattiva dello spettro solare.
"L'eterno femminino ora si dipana nel vivere quotidiano, nel ripetersi dei gesti, nell'essere sempre presente, quasi onnipotente e si muove tra pareti tappezzate da diplomi mai rilasciati ma che attestano il suo essere domestica, ragioniera, maestra, psicologa, infermiera." (da Antonietta Filippini "Punti di svista") La faustiana ricerca dell'eterno femminino, misterioso, inafferrabile è dunque un'utopia? Primordiale Eva, femmina totale, eterno femminino, ma anche lacerazione e tormento interiore, fascino ambiguo dell'irraggiungibilità dell'altro.Le donne dipinte da Gustav Klimt, tanto per fare un esempio, non sono l'ennesima variazione sul tema della donna vipera, bensì la rappresentazione dell'eterno femminino come forza naturale, come genesi e conclusione. Il pittore sente il timore per una creatura sconosciuta e ne fa il suo doppio. Avvicina il pericolo perché ne sente un'inesplicabile attrattiva. Klimt cercherà dunque di penetrare con l'arte quel segreto cosmico che crede presente nel corpo femminile. Il tema della ciclicità della vita è fondamentale nella definizione di un universo patriarcale. Nel corpo femminile, che è grembo e prigione, si forma la vita e di conseguenza si decide il destino mortale di un nuovo essere. La donna incinta è al tempo stesso lieta speranza e rassegnazione alla caducità della vita. La ricerca di Klimt si esaurisce, senza risolversi, ancora nella donna, unica vera dominatrice del dramma storico dell'uomo. Lei, dea creatrice, sopravvive a sé stessa.
I saggi dell'antichità, invece, avevano compreso, con profonda intuizione, il mistero dell'Eterno Femminino. Che l'eterno femminino riviva nei dipinti vascolari della Magna Grecia o si riveli in vesti settecentesche o ottocentesche, in realtà è un'immagine comune che si coagula in una dimensione meravigliosa, come se provenisse da una mentalità cosmica. Traspare un “eterno femminino” custode fedele di antiche memorie e ancestrali segreti, ma, al tempo stesso, consapevole messaggero di un futuro ormai prossimo, minimalista e tecnologico. Un futuro dominato da figure femminili del tutto sciolte da ogni laccio emozionale.
Nei miei tre scritti Fulgore di Teano, Luci nella notte di carattere storico-antiquario e Come la Monaca di Monza? “Emergenti da mille cunicoli di storia, salgono uomini e donne a reclamare una cittadinanza che non è solo da Museo” (Dal Prologo di S. E. Mons. Aiello a Luci nella notte). Soprattutto donne di Teano antica, immortalate ora nell'eternità della pietra. Balzano dalla profondità della storia anche dee, ninfe, sacerdotesse, grandi spose reali dei Faraoni d'Egitto. E su tutte emerge, seppure sfumata e discreta la bella sovrana Nefertiti, quintessenza fin troppo abusata dell'eterno femminino. Perfino una marca di sigarette egiziane reca il suo nome con la classica immagine, ora al museo di Berlino. “Commovente la lastra della dolce Veneria fossilizzata negli spechiombrosi della venerabile cripta di S. Paride, trasudante salnitro e una dismagante tristezza, pioggia di di lacrime del desolato coniuge Victor che fece incidere su pietra povera, per quattro soldi, parole di rimpianto per una moglie devota” (“Luci nella notte”, pag. 130) Riemerge l'incantato ratto di Europa in un bel bassorilievo apposto troppo in alto, per essere considerato, nell'alta parete di un'aula che ripropone in chiave riqualificata il perimetro della longobarda cattedrale del Vescovo Mauro, benedettino di frontiera, servo dei servi di Dio, che pianse pie lacrime innalzando la sua cattedrale, trionfo di colonne e marmi. Dalle pieghe d'ombra del tempio di Cerere sembra ancora uscire, di notte, madre del mistero e della discrezione, Staia Pietas, sua principale sacerdotessa, seguita dalle giovani consorelle, la luce della luna tratteggiante i loro passi di nuvola, mentre impallidiscono Cassiopea, Arturo e Vega gli astri propizi alla buona sorte. Trebia Eleuteria, Socidia Memmia, Herennia Paphia, Ursidia, Veneria, Fufidia ,Valeria Secundilla, Flavia Coelia e Nonia Prisca inclite sacerdotesse di Juno Populona, Helvia Galla, immortalata in un'epigrafe riportata da Mommsen e rinvenuta presso la monumentale chiesa di S. Francesco, Aelia Crispilla che scioglie un voto a Giunone Pronuba che le aveva propiziato le nozze, Geminia Felicita, Geminia Marciana, Aemilia umile cristiana della cripta di S. Paride, l'ignota domina dai tratti eleganti e nobili eternata col coniuge in una splendida stele del raccolto cortile di Palazzo Mazzoccolo, tutte Teanesi, vengono così ad acquistare una loro consistenza, una loro carnalità, a configurare una identità incisiva e qualificante. Indimenticabili personaggi femminili di Teano,“del Paese dei Sidicini, le cui donne amavano ornarsi di oreficerie preziose in vita e in morte”,i cui “ritratti rituali”, illustrati genialmente da Luigi Spina e magistralmente “raccontati” nell'omonimo bel volume dall'insostituibile Dottor Sirano, ingentiliscono e caratterizzano il nostro superbo Museo Archeologico. E ne sono prova sostanziale gli ori di fine esecuzione, provenienti dalla necropoli urbana della Gradavola, custoditi ora con cura, dedizione, competenza in quello scrigno stupendo che è il locale Museo. E che dire poi della Monaca di Monza, al secolo Maria Anna de Leyva, conturbante giovane di origini nobilissime, divisa tra due ragioni: quella ereditaria che sacrificava i suoi ardori e le sue aspirazioni e quella dell'eterno femminino che le ispirava una lancinante foga di vivere, di amare e di essere amata. Donna bella e giovane, dagli occhi fondi e magnetici, riflettenti notti deliranti, tra i chiaroscuri di cadute e pentimenti. Notti frementi e contraddittorie che non riuscivano a illanguidire il suo esuberante sangue spagnolo, forse anche arabo.
E tra tutto questo turbinio di donne, Teano, magica e incantevole come velo di sposa, “velo nuziale che nasconde e incornicia una terra da cui trarre orgoglio perché mirabile sentinella della Porta Alta della Campania Felice”*


* (Dal prologo di S.E. Mons. Aiello a “L'orgoglio dei Sidicini”)

Giulio De Monaco
(da Il Sidicino - Anno VIII 2011 - n. 4 Aprile)