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"Il Capitolo Cattedrale di Teano e la cura d'anime di S. Clemente nei secoli XVIII e XIX" di Guido Zarone
 

in Archivio Storico di Terra di Lavoro, pubblicato dalla Società di Storia Patria di Terra di Lavoro,vol. XXI, 2008.

Ancora una volta Guido Zarone, generoso studioso di storia locale e abile esperto di araldica, ci propone una splendida ricerca degna di un certosino medievale.
Fermo restando che mai, e dico mai, il nostro impavido Guido si fermerà di fronte a mucchi di scartoffie polverose, non deve essere stato facile ricostruire la storia della piccola e negletta chiesetta di S. Clemente, per alcuni una fra tante, per altri un flebile ricordo, per la maggior parte una emerita sconosciuta.
Per tracciare questo pezzo di storia il nostro Autore ci racconta l'antefatto, e ci narra del Capitolo Cattedrale a partire dalla primavera del 1469, anno in cui risultano solo tredici i sacerdoti che con sommo gaudio e dovizia di benefici si occupavano di tutto quanto concerneva la liturgia della nostra (non ancora distrutta e ricostruita) Cattedrale. E li vediamo tutti schierati in pompa magna fare la ruota davanti al Vescovo e cantare a squarciatimpani le lodi al Signore in una magnifica Messa Solenne.
Con il passare degli anni, grazie anche alla munificenza di alcune doviziose famiglie teanesi cui non mancava la pecunia né peccati da cui farsi perdonare, a questi tredici si aggiunsero con altrettanto gaudio altri dodici canonici con varie funzioni e un po' meno benefìci. Perché di sicuro, nonostante le donazioni, dividere la torta in venticinque invece che tredici rende di sicuro meno sazi.
Nel frattempo la parrocchia di S. Clemente, semi nascosta su un lato della piazza della Cattedrale, non era di sicuro un beneficio sufficiente per il curato che doveva occuparsi sì di poche anime, ma che avevano comunque bisogno di un tetto. Non fu l'unica chiesetta ad andare in rovina per scarsità di mezzi, né nel nostro territorio, né nel resto della Penisola. Tant'è che alla fine del XVI secolo il parroco venne accolto a officiare nel Duomo, proprio per non finire anche lui sommerso dalle macerie.
Le povere anime della parrocchia, poche e di un piccolo territorio beneficiarono così della grandiosità della grande Cattedrale per parecchi anni, più di un secolo, per cui le messe più modeste del povero parroco facevano da controcanto a quelle più “gloriose” del Capitolo Cattedrale, che di anime ne aveva molte meno.
La storia continua e nel 1741, dopo aver cercato in tutti i modi di sistemare la situazione della piccola chiesa parrocchiale, senza edificio, nell'impossibilità di avere un'altra chiesa o una chiesa nuova, il vescovo Cirillo decise di annettere il beneficio curato di S. Clemente al Capitolo. Fu un errore? Col senno di poi forse sì. Il beneficio parrocchiale fu trasformato in canonicato curato. Ovvero il nostro povero don Camillo dell'epoca si trovò col titolo di canonico curato, in un Capitolo di grandi uomini, con un piccolo beneficio (poche entrate insomma) e con le anime dei parrocchiani cui prestare cura invece dei canti e delle faccende da sbrigare per il signor Vescovo.
Perché, in effetti, non era scopo principale né secondario del Capitolo di prendersi cura delle anime. In fondo la Cattedrale non era una parrocchia, ma una grandiosa macchina da curare.
Il tempo passò e con gli anni la funzione di canonico curato passò di mano in mano, ma non c'era modo per le anime di S. Clemente di stare tranquille. La legislazione eversiva postunitaria fu il pretesto per la soppressione del canonicato, nonostante fossero esclusi dalla soppressione quei benefici annessi con la cura delle anime. In tal modo si salvarono solo i pochi canonici le cui cariche erano assimilabili con le vecchie cariche del Capitolo antico. Per intenderci, quelle cariche che potevano esser fatte risalire all'Ordo Antiquus, di derivazione agostiniano-apostolica.
È questo il nucleo critico del giallo, come mai fu soppresso il beneficio? Perché proprio quello che si riferiva a chi si occupava delle povere anime? Di sicuro se Mons. Cirillo avesse previsto non avrebbe annesso la parrocchia alla Cattedrale. Fatto sta che per anni i parroci di S. Clemente continuarono per nostalgia a fregiarsi del titolo di canonico curato impropriamente, sempre ospitati per le funzioni dal sontuoso edificio e onorati ufficialmente del titolo di Canonico Onorario.
La soluzione del caso, per noi poveri uomini confusi dalle circostanze, avvezzi alle beghe parlamentari e ai maneggi comunali, sembra molto semplice.
Finché furono in vigore i benefici, soppressi definitivamente dopo la promulgazione del Codice di Diritto Canonico, spesso economicamente molto consistenti, non era pensabile che in un momento di congiuntura avversa si potesse dividere il malloppo con chi si occupava solo di anime e non della macchina della Cattedrale. Non era una occupazione degna del Capitolo Cattedrale. La Chiesa fondata da Cristo e giunta fino ai nostri giorni è sempre stata formata da uomini, non sempre da buoni cristiani e ancor meno da veri discepoli di Cristo.
Al Parroco del duomo ancora oggi è conferito il titolo di canonico onorario munere perdurante. E come tutti i suoi predecessori si occupa egregiamente di anime, proprio quelle snobbate dal Capitolo, ma che, per fortuna, costituiscono la vera ecclesia, il popolo di Dio.

Giulio De Monaco
(da Il Sidicino - Anno V 2008 - n. 12 Dicembre)