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Intervista doppia ai fratelli Rigliari

 
 
Alessandra e Raffaele a confronto raccontano la loro attività
 

Alessandra e Raffaele sono i figli di Paolo Rigliari nati dal suo amore per Rosa. Era il 1989 quando i due si sposarono, decisi a non lasciarsi mai più. In questa fine d’anno così densa di preoccupazioni, ci manca ancora di più il sorriso di Paolo, l’infaticabile Maestro scomparso all’improvviso lo scorso anno. Ma per fortuna il suo ricordo vive ancora e potrà accompagnarci come una carezza verso il Natale. I figli hanno scelto di seguire le orme del padre e hanno iniziato a studiare musica sotto la sua guida. Li abbiamo intervistati (doppiamente) per approfondire con loro un mondo, così misterioso e affascinate, come quello della musica classica.

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A quanti anni hai iniziato a studiare la musica?
A.: Ho iniziato a studiare musica all’età di nove anni con il M° Laura Morelli, successivamente ho proseguito i miei studi con il M° Natalia Ceaicovschi con cui ho conseguito il diploma all’età di 21 anni.
R.: Ho preso le prime lezioni di pianoforte presso la scuola di musica Sidicina a 6 anni mentre l’amore per il violoncello è nato a 11 anni e mi accompagnerà per tutta la vita.
Che strumento suoni?
A.: Il violino.
R.: Il violoncello.
Cosa provi prima di salire sul palco?
A.: Generalmente prima dei concerti sono piuttosto agitata, cerco di concentrarmi e di focalizzare l’attenzione sull’esecuzione musicale. Ogni esibizione è diversa e con essa le emozioni che suscita. Lo sforzo, l’agitazione ed i momenti di tensione svaniscono quando si inizia a suonare e vengono totalmente ripagati con quanto di buono si è riusciti a trasmettere al pubblico.
R.: Un mix di emozioni che non possono essere spiegate. Sicuramente cerco di rilassarmi e di ricordare se ho portato l’arco e sistemato gli spartiti.
Tra le esperienze che hai vissuto a quale sei particolarmente affezionato/a?
A.: Sono particolarmente legata all’esperienza da spalla dei secondi violini dell’Orchestra Giovanile Italiana grazie alla quale ho avuto la fortuna di condividere il palco con grandi direttori d’orchestra e solisti. Tra i concerti più belli ricordo quello con il violinista Kolja Blacher al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, suonare al suo fianco è stata una grande occasione di crescita e di formazione musicale.
R.: Ricordo con maggiore affetto due concerti tenuti nel 2019. Il primo, a giugno, presso la sala “Sinopoli” dell’Auditorium “Parco della Musica” di Roma. Al violino c’era mia sorella e il programma prevedeva un trio di A. Arensky famoso per la struggente elegia. Quella è stata l’ultima esibizione con mio padre tra il pubblico e il ricordo dei suoi occhi colmi di orgoglio e felicità mi accompagnerà per tutta la vita. Il secondo, ad agosto, come co-leader dei violoncelli dell’Aurora Symphony orchestra alla Konserthuset di Stoccolma (la sala dove ogni anno vengono assegnati i premi Nobel). In programma c’era il meraviglioso concerto per violino di E.W. Korngold e la sinfonia n.1 “Titano” di G. Mahler nella quale avverto il carattere e l’energia di mio padre.
Se tornassi indietro nel tempo quale musicista ti piacerebbe incontrare?
A.: Mi piacerebbe incontrare il mio compositore preferito: Johannes Brahms.
R.: La lista è lunga ma, fortunatamente, uno dei privilegi di chi fa musica è quello di aprire uno spartito e ritrovarsi in culture ed epoche lontane, immersi nelle idee e nei sentimenti dei compositori.
Se non fossi musicista che lavoro avresti voluto fare?
A.: Grazie a mio padre ho avuto l’opportunità di studiare uno strumento musicale e non riesco ad immaginare la mia vita in nessun altro modo. Se potessi tornare indietro non sceglierei nient’altro.
R.: Non mi sono mai posto la domanda. La musica è talmente totalizzante da non lasciare spazio ad altro.
Perché dovremmo tutti apprezzare di più la musica classica?
A.: Beethoven diceva che: “Dove le parole non arrivano... la musica parla”. La musica classica rappresenta un linguaggio universale, ha la grande capacità di unire e non conosce differenze di genere. Viviamo in un Paese ricco di storia e cultura e credo sia fondamentale abituare le nuove generazioni all’ascolto. Chi dice che la musica classica è noiosa non ha mai ascoltato un’opera di Vivaldi o Shostakovich. Qualche mese fa io e mio fratello abbiamo istituito l’Associazione Culturale Musicale “Paolo Rigliari” con il duplice obiettivo di ricordare la figura di nostro padre e di promuovere musica e arte sul nostro territorio.
R.: Perché la buona musica e l’arte in generale possono contribuire a cambiare in meglio la società aiutandoci a sviluppare il pensiero critico. Ad esempio, chi è capace di capire, apprezzare e contestualizzare l’opera dei grandi artisti del passato difficilmente crederà alle bugie e agli sterili slogan dei tanti politici che a livello locale e nazionale abbiamo la sfortuna di avere.
Hai qualche aneddoto simpatico della tua carriera da raccontarci?
A.: Non si tratta di un aneddoto simpatico ma lo ricordo ugualmente con piacere. Ero con mio fratello al Festival Internazionale di Musica da Camera “Trame Sonore” di Mantova, avevamo appena terminato il nostro concerto presso la Sala dei Cavalli di Palazzo Tè quando una coppia si avvicina commossa inondandoci di complimenti e di bei pensieri, in particolar modo dissero: “I vostri genitori devono essere davvero orgogliosi di voi”. È questa la ricompensa più grande del nostro lavoro: riuscire a trasmettere emozioni a chi ti ascolta.
R.: Qualche anno fa mi è capitato di dimenticare le scarpe da concerto e di suonare in calzini. Il pubblico ha pensato ad una scelta “artistica” ed è stato un gran successo.
Hai respirato “musica” fin da bambino/a, tuo padre Paolo era una figura davvero rara sia musicalmente che come persona. Che consigli ti ha dato?
A.: A mio padre devo la vita e l’amore per l’arte, due doni inestimabili. Grazie a lui oggi ho l’opportunità di confrontarmi con persone e realtà differenti. Tra i vari consigli ricordo quello di dare sempre il massimo e di non lasciarmi condizionare dalle sconfitte ma di continuare a studiare e a credere nella musica.
R.: Il consiglio più prezioso è stato il suo esempio nell’affrontare lo studio della musica, e la vita in generale, con serietà e dedizione badando alla sostanza e non alle futili apparenze.
Ringrazio caldamente Raffaele e Alessandra per essersi prestati a questa intervista doppia. Aver chiacchierato con loro mi ha dato l’ennesima conferma di quanto la passione in questo mestiere sia la vera essenza. La musica, come ci ha insegnato Paolo, è una terapia che ci migliora la vita.

Pietro De Biasio
(da Il Sidicino - Anno XVII 2020 - n. 10 Dicembre)