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L'acqua ferrata: una Teano story
Riceviamo dall'avv. Valentino Compagnone, e volentieri pubblichiamo, una sua nota a commento dell'esito, in sede Tar del 2007, della controversia Riccio\Comune di Teano sulla questione Acqua Ferrata, una esemplare “Teano story”, con evidenziate tutte “le carenze del Comune nel dar corso adeguatamente ad azioni connesse a pubblico interesse, nel percepirne correttamente ed esattamente gli aspetti, nel far valere i suoi interessi in sede giudiziaria e nell'interpretarne gli esiti”.
 

 

Il Corriere di Caserta del 13 febbraio 2007 ospitava una ampia corrispondenza da Teano sul problema Acqua ferrata, che è una vecchia Teano story che può così riassumersi: si riteneva, per convinzione largamente diffusa, che quella sorgente minerale, celebrata fin dalla antichità per i suoi pregi (nell'atrio dello stabilimento sono riprodotti i brani degli scrittori della antichità che la magnificavano) era una importante risorsa locale non adeguatamente sfruttata e ciò con grande pregiudizio del Comune senza che si sapesse però indicare con esattezza per colpa di chi e che cosa, se non genericamente attribuendone la responsabilità alla proprietà del fondo ove c'era la sorgente principale che a partire dagli anni '20 risultava facente capo al signor Riccio Eugenio ed alla consorte donna Maria Iannuccilli.
Il Comune che si sentiva investito del problema, dal suo canto non ha mai saputo fare la sola cosa necessaria per surrogare la lamentata inattività dei privati - i quali non dovevano essere necessariamente i proprietari del fondo che pure almeno nella metà degli anni '20 e tutti gli anni '30 e per un limitato periodo nel dopoguerra vi hanno esercitato attività termale- non avendo chiaro i distinti termini della situazione che erano:
-un bene demaniale: la sorgente;
-il diritto di sfruttamento per concessione che può essere richiesta da qualunque interessato privato o pubblico al Demanio statale (l'ex Ufficio cave e miniere);
-il materiale sfruttamento, che comporta l'investimento in uno stabilimento, che a sua volta implica l'uso del terreno circostante e di una strada di accesso, tutti di proprietà Riccio;
-accordi privati (anche se uno dei contraenti è un Comune) con la proprietà Riccio/Iannuccilli dei terreni circostanti per provvedersi dei terreni e strade di accesso necessari;
- all'occorrenza espropriazione per pubblica utilità (nei limiti di tale istituto che non sono infiniti) se la iniziativa è di un soggetto (il Comune attraverso una società appositamente creata), che intende surrogare la inattività dei privati.
Il tentativo di dar corso alla acquisizione alla disponibilità del Comune del bene con una delibera consiliare del 1886 non ha altro valore che quello documentale della scadente operatività del Comune non essendo quell'atto idoneo al fine perseguito: surrogare la iniziativa privata carente nello sfruttamento della sorgente.
Negli anni '20 in cui la mia famiglia nella persona di mio zio Paride Del Prete entrò nel business delle acque minerali della zona ed acquistò, prosciugandosi con lo esborso secco di 3 milioni di lire, l' acqua Eletta di Riardo (ora Ferrarelle che era allora una sua sottomarca) si prospettò l'acquisto dell'Acqua ferrata che aveva un limite: non era commerciabile perché fa subito cospicui depositi ferrosi, in misura enormemente maggiore di quella dell'acqua ferrata di Pompei, e dunque si trattava di impegnarsi in un'attività termale che a sua volta soffriva di un grave limite: l'angusto sito della sorgente che impedisce la realizzazione di una struttura termale di qualche dimensione.
Recentemente il problema ha assunto un particolare aspetto: l'asserita esistenza del carattere pubblico della strada di accesso attraverso proprietà privata allo stabilimento pur esso privato ed in rovina che vede ancora protagonista il Comune.
Come possa venire in mente a qualcuno che una strada di accesso ad uno stabilimento privato nel quale è materialmente compresa la sorgente principale (altre secondarie sono nei pressi) situata su terreno privato, con la coincidenza della proprietà dello stabilimento e del fondo ove esso insiste, della stessa origine della strada che per un tratto da acceso alla casa colonica del fondo e per il seguito realizzata dai proprietari di esso proprio al servizio dello stabilimento privato, abbia carattere pubblico o vi si sia instaurata una servitù pubblica, non si comprende.
Da quanto mi risulta c'era qualcuno che in passato - non sempre materialmente contrastato dalla proprietà che comunque non ha mai dato alcun permesso e c'era sempre il timore di una reprimenda - percorreva quella strada, si inerpicava su una scarpata per penetrare dall'alto del tetto dello stabilimento ove c'era la sorgente (compiendo un reato) e si dissetava o prendeva una bottiglia di acqua oppure entrava nello stabilimento (privato) e con il consenso implicito della proprietà era ammesso a dissetarsi.
Sarebbe codesto il fondamento del diritto pubblico vantato dal Comune?
La cosa curiosa è che la corrispondenza del Corriere di Caserta celebra una sentenza del TAR-Napoli come la circostanza in cui si è fatta pace nella coscienza pubblica con la fine di un contrasto che la ha dilaniata vedendo da una parte la proprietà della strada e il fondo ove c'è l'Acqua ferrata a dall'altra la società di Teano ed il Comune, uscito peraltro perdente dalla causa.
I termini in cui vengono esposti nella corrispondenza le posizioni delle parti in causa e il contenuto della sentenza 834\07 sono piuttosto confusi per cui per comprendere di che cosa si tratta occorre leggere la intera sentenza, peraltro pur essa non proprio chiara su ogni aspetto della vicenda, ed il risultato è che:
a) si tratta di tutt'altra cosa rispetto a quella che viene prospettata dal giornale;
b) l'interpretazione che il Comune stesso ne dà non è congrua.
Innanzitutto il giudizio riguarda il diniego da parte del Comune di un'autorizzazione edilizia all'installazione di un cancello di accesso alla strada che conduce alla proprietà del fondo ove c'è prima la casa colonica e dopo lo stabilimento, motivando che c'era un diritto pubblico di passaggio che sarebbe stato invalidato (in realtà un cancello eretto per la legittima protezione della proprietà non è per se di ostacolo allo esercizio di un concorrente diritto o servitù di passaggio altrui pubblico o privato che sia).
Dunque l'oggetto della causa era una autorizzazione amministrativa e non la esistenza o meno di quel diritto oggetto di forti contrasti sanati con l'intervenuta sentenza.
Il TAR ha sentenziato infatti non sull'esistenza o meno di quel diritto ma sull'insufficienza di prova del Comune che il Comune ha data facendo una difesa contro se stesso allorché per dimostrare l' esistenza di una servitù pubblica ha esibito una delibera comunale del 1886 che approvava l'acquisizione nel patrimonio comunale dell'Acqua ferrata, precisando che quella delibera non è stata seguita da atti conseguenti, e aggiungendo un'attestazione senza firme autenticate peraltro di persone che “testimoniavano” l' esistenza di una servitù pubblica di passaggio, priva di valore in quella causa perché aveva il carattere di una istanza rivolta al Comune ex lege 241\90 che il Comune non ignorerà, attivando un procedimento sulla domanda di autorizzazione, che dava luogo ad una conferenza dei servizi che a sua volta sembra avesse preso atto dei limiti della delibera consiliare di fine '800.
In conclusione il Giudice amministrativo ha dichiarato illegittimo l'atto di diniego dell'autorizzazione all'apposizione di un cancello motivata dall'esistenza di una servitù pubblica che ritiene indimostrata come la documentazione del Comune stesso affermava, eccependo però come sua difesa preliminare il difetto di giurisdizione del Giudice amministrativo che il TAR respinge trattandosi di un ricorso avente per oggetto un diniego di autorizzazione che è atto amministrativo.
In conclusione non c'è da rallegrarsi che il Comune ha perduto una causa per aver compiuto un atto illegittimo urbanisticamente, aver condotto consapevolmente una causa contro se stesso, sopportando le spese del suo giudizio, si celebri questo evento come una intervenuta pace nella coscienza della società teanese dilaniata dai contrasti sulla acqua ferrata , mentre peraltro il problema dell'interesse allo sfruttamento di quella risorsa esiste per la proprietà del fondo ove sgorga la sorgente innanzitutto, e se si vuole per il Comune: qualcuno pensava ad uno stabilimento termale costruito a cavallo delle due sponde del Savone avendo in mente la casa sul fiume di un famoso architetto americano!
Ma se il Comune vuole affrontare il problema allora lo imposti adeguatamente consapevole che per realizzare i suoi programmi deve tener conto avvalersi di mezzi idonei e che esistono diritti privati rispetto ai quali non è assolutamente concepibile che un soggetto pubblico di rilievo costituzionale possa perdersi in maldestri e confusi tentativi vessatori: dunque concepisca un progetto di massima di realizzazione di uno stabilimento, si accordi con la proprietà del terreno circostante e della strada di accesso, o ne promuova l'esproprio, crei una società ad hoc aperta a capitale privato, chieda la concessione per lo sfruttamento delle sorgente.

Valentino Compagnone
(da Il Sidicino - Anno XVII 2020 - n. 6 Agosto)