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L'ignoranza e gli ignoranti: innocenti, colpevoli o virtuosi?

 

Comunemente si dice che la madre degli ignoranti, ossia l'ignoranza, è sempre incinta, il che ci inchioda lapalissianamente all'evidenza che senza la prima non ci possono essere i secondi… Tutti d'accordo? Nemmeno per sogno! Infatti senza questi ultimi, frutto e prodotto o, se preferite, titolari e portatori nonché essenza (saremmo tentati di dire “ontologica”) di quella, come potrebbe aversi il processo generazionale o il triangolo magico <genitori – figli - genitori>…? Intanto quest'ignoranti sono figli di madre vedova? Certo che no! Hanno un padre naturale: l'ozio, permanentemente e generosamente impegnato a coltivare vizi pubblici e privati, per sé e per le sue creature. Ma che bella famiglia! Non trovate? Quanto alle pubbliche virtù, è inutile parlarne… Prima d'incontrare un tale di nome Socrate! Circa il numero (d'ignoranti), abbiamo perso il conto, anche perché non ci riesce di contare quelli che se ne sono andati, cioè “i più”. Relativamente allo spazio, forse più in là ci darà una mano il laboratorio scientifico americano “Curiosity”, recentemente atterrato su Marte. Per il tempo, scegliamo di assumere come punto di partenza il V sec. a.C. e partire da quel tale che abbiamo chiamato Socrate, che sull'argomento la sapeva molto lunga ma volle stupirci con un effetto speciale, rivelandoci di sapere una sola cosa e cioè di avere la certezza di non sapere niente; affermazione ripresa e rimarcata circa un secolo più tardi da un altro filosofo greco, lo scettico Arcesilao, che confessò di non sapere neppure questo! Stando così le cose, c'è davvero da mettersi le mani nei capelli (per chi ce l'ha). Ma il sottoscritto, “ignorante speciale”, modestamente parlando, vanta un'esperienza ormai veneranda ed una consapevolezza di tutto rispetto in materia d'ignoranza… Per cui, calandosi nel metodo socratico attraverso il noto momento dell'ironia, sia pure a parti rovesciate (l'allievo interroga il maestro), osa chiedere al Nostro: “L'ignoranza è sempre una colpa? Anche quando l'ignorante non ne ha consapevolezza?” La lotta è impari; non c'è partita, perché il Maestro è irremovibile sull'equazione <Ignoranza = Colpa e da ciò derivano errore, vizio ed ogni altra sorta di perversione e sciagura; per non parlare dell'identità tra scienza e virtù (intellettualismo etico) e tra virtù e felicità (eudemonismo etico)>. Impossibile passare al secondo momento del predetto metodo socratico (quello della maieutica) nel vano tentativo di arrivare alla verità…
Ma esiste, poi, una verità? Uguale “vera” per tutti? O non ci sono verità “più vere” di altre? Per Socrate non sembra esserci dubbio: nel fondo della coscienza umana (conosci te stesso) esiste una verità necessaria ed universale in cui tutti devono credere: il Concetto (del bene, della giustizia, della felicità, del male, della santità…). L'ipotetico dialogo, estenuante e sterile, si conclude con un'eresia dell'allievo, che la spara veramente grossa sciogliendo un inno all'ignoranza, la quale, se affiora alla coscienza dell'ignorante, diventa una risorsa, anzi, una virtù! In poche parole: se l'ignorante ha consapevolezza della propria ignoranza, entra in crisi e questa sfocia inevitabilmente in un cambiamento che può generare dubbio, curiosità, interesse, bisogno di ricerca, di superamento dell'errore e quindi di un passo in avanti nel mondo della scienza, della tecnica e del progresso. Insomma l'ignoranza viene da lontano e va lontano… Platone, nel dialogo di “Ippia Minore” afferma paradossalmente che “chi pecca volontariamente” quindi scientemente “è meno colpevole di chi pecca involontariamente” (come a dire: ignorantemente). Quindi anch'egli condanna l'ignoranza, apparentemente senza appello. Ma non mancano i sodali del sottoscritto, che suole dividere gli ignoranti in 3 categorie: innocenti (se non sanno di essere ignoranti), colpevoli (se lo sanno e non fanno niente per liberarsene), virtuosi (se hanno coscienza della loro ignoranza e la trasformano in una risorsa, addirittura in una virtù). In sintesi: siamo tutti ignoranti; il discrimine è la coscienza (alcuni lo sanno e altri no); in proposito qualcuno ha scritto: <Non è bella l'ignoranza, ma la coscienza dell'ignoranza>. Sembra appena il caso di aggiungere, per es., che Kant (nella Logica) scrive che l'ignorante è incolpevole nelle cose in cui la conoscenza sorpassa il comune orizzonte, ma è colpevole nelle cose in cui il sapere è attingibile. Sempre – ci permettiamo di aggiungere noi – che egli abbia coscienza della propria ignoranza e in tal caso questa può addirittura diventare “dotta” (come quella di N. Cusano) o “scientifica”, perché conosce i limiti della conoscenza, specialmente in materia teologica (teologia negativa). Giordano Bruno, a sua volta, sostiene che l'ignoranza è la madre della felicità e della beatitudine sensuale! Sembra davvero scomodo dargli torto… Il poeta inglese M. Prior, addirittura scomoda l'alfabeto per affermare che vi è un'ignoranza abbeccedariana che precede la dottrina, e un'ignoranza dottorale che la segue. Gli fa controcanto lo scrittore tedesco E. M. Remarque, che in un colloquio tra padre e figlio, mette in bocca al primo questo apparente paradosso: <Non perdere la tua ignoranza, non potrai mai sostituirla>.
E si potrebbe continuare a lungo, ma noi preferiamo avviarci alla conclusione richiamando alla memoria un nostro amato, noto e compianto cittadino: il collega Lucio D'Aiello, che soleva salutare amici, colleghi e conoscenti con una formula trinomiale divenuta celebre tra i Sidicini: <Beato te, Perché? Perché sei un'ignorante…>. Ma, non volendo deludervi, ho deciso di chiudere tirando fuori dal cilindro un Epitaffio che è l'apoteosi della coscienza dell'ignoranza: Qui riposa il… Tal dei tali/un ignorante consapevole e volontario/ in servizio permanente effettivo.

Nello Boragine
(da Il Sidicino - Anno IX 2012 - n. 10 Ottobre)