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C'era una... volta e un Arco

 
e stanno ancora lì malgrado il tempo e le bombe
 

Ci sono personaggi in cerca d'autore e soggetti e soggetti in cerca di guai. Noi “Archigiani” facevamo parte dei secondi. Ma non lo sapevamo. Nella nostra testa non c'era posto né per l'errore né per il pericolo: del primo non avevamo coscienza; del secondo qualcuno diceva “non tocca a me”, e qualche altro “me ne frego”. È appena il caso di ricordare che eravamo negli anni quaranta del secolo scorso e nella maggior parte delle case e della famiglie c'era poco spazio per l'accademia! Al suo posto regnavano il pesante retaggio della guerra ed una enciclopedia mai scritta di pregiudizi, di paure dure a stemperarsi in ricordi affidati alla cronaca o consegnati alla storia, di urgenze e bisogni quotidiani che i nostri genitori riuscivano a selezionare e gestire meglio dell'uomo cibernetico dei nostri giorni.
Abbondavano e dominavano sovrane la fame e l'ignoranza. Della prima eravamo consapevoli portatori in molti; della seconda non avevamo coscienza e, per giunta, la maggior parte di noi ne era ad un tempo causa ed effetto!
Poi fortunatamente col tempo, col sacrificio, con la forza della volontà e l'impegno diuturno e fruttuoso ne abbiamo preso coscienza e siamo pervenuti alla coperta regina della vita e del sapere: la coscienza dell'ignoranza! È stata questa la forza propulsiva e feconda che ci ha spinto ad andare avanti. Ma questo appartiene al presente e rischia di proiettarci verso i massimi sistemi; mentre noi sentiamo il bisogno ed avvertiamo il piacere di fare un tuffo nel mondo della comoda incoscienza, della ingannevole e pericolosa, ma al tempo stesso rassicurante e suggestiva ignoranza.
Quella che ha governato la nostra fanciullezza e parte dell'adolescenza all'ombra ed all'insegna dell'Arco di Porta Napoli, col suo giardino pensile carico di dorata uva settembrina; con le latrine alla sua sinistra, delle quali era notoriamente ritenuto sovrano e padrone incontrastato il gigante buono della torretta, Ndonjo e' ligname, sempre in coppia con il figlio Alfredo, alias Civettuola; con la duplice scalinata della Madonna delle Grazie, eletta dalle nostre mamme a tempio di espiazione delle nostre malefatte e dei nostri peccati; con le macerie che la fronteggiavano, rimpiangendo e testimoniando un passato di vita e progetti consegnato per sempre alla barbarie di criminali indegni persino dell'inferno; con il muretto di Papantonio e la volta dove regnava l'onnipresente Nannina a' reggina, il cui figlio Tommasino, nostro coetaneo, solo raramente poteva unirsi a noialtri per giocare al calcio (quanto al batti muro, che si svolgeva a ridosso della sua abitazione, sui piedritti di silice del portone di Don Paride Crescenzi, zi' Ntonio, Martulella, Palmetella e Clementina, neanche a parlarne).
Lo zoccolo duro del quartiere, che nella puntata precedente abbiamo identificato come Bronx, era composto dal sottoscritto, da Vangelista, Ndoniuccio e Pariduccio, un quartetto molto affiatato, imprevedibile, incontrollabile e particolarmente creativo: il capo era Anigliuccio (la cui identità non svelerò neanche sotto tortura). Al confronto Attila e i suoi Unni erano collegiali in libero uscita. Ai nostri ordini c'erano Austino, Affonz, Pierino, Carluccio, Armand e Ndonio i cercaiuolo, Felice u' sacrestano, Umberto u' chiagnazzaro e, solo raramente, Affredo (ora ammiraglio). Poi c'erano i soprannumerari, che non erano archigiani, ma avevano licenza di libero accesso al Bronx, perché “portavano il pallone”: si trattava dei fratelli Memmo e Gianfranco Contestabile (ai quali abbiamo enigmaticamente accennato nella puntata precedente).
Di qualcuno abbiamo perso le tracce; di altri sappiamo che purtroppo non sono più tra noi. Di essi, pietà umana e cristiana a parte, conserviamo un affettuoso e fraterno ricordo, cui qualcuno associa un pensiero che, Pascoli permettendo, lo spinge a dire: eppure beati voi che avete conosciuto solo le macerie della guerra; altri, forse, dovranno sopravvivere a quelle dell'Euro e della Giovine Europa. E non sarà impresa da poco, visto che la benzina ha già raggiunto i due euro al litro e lo stato di salute del pianeta butta proprio male!
Ma prima di cedere alla commozione o di indulgere alla cronaca dell'attualità, mi rifugio volentieri nella memoria e vi coinvolgo nella rievocazione di un passato che ci ha visto protagonisti di epiche imprese, come quelle dell'invasore mascherato, tale Zarafino o' puparuolaro, un marianovese così chiamato perché soleva celebrare le delizie culinarie del suo rione, famoso per la sagra settembrina dei peperoni imbottiti, in occasione della festa della Madonna della Libera.
Un pomeriggio di febbraio, approfittando della sfilata delle maschere carnascialesche e di una temperatura piuttosto mite, entrò nel nostro regno mascherato da Colombina e si sedette sul muretto di Papantonio, un sito per noi sacro ed inviolabile, quasi un'ara, dove zi Ndonio e Pampa celebravano il rito quotidiano del monto-smonto di sella e, ogni tanto, ascoltavamo rapiti le avventure del buon ortolano in terra argentina. Smascherata la colombina, intimammo a Zarafino di togliere il disturbo. Risposta: a carnevale ogni scherzo vale.
Non l'avesse mai detto! Come osava scherzare con i sacerdoti dell'arco, la cui faretra straboccava di frecce più veloci di quelle di Diana? Il “quartetto”, con la complicità di Tummasino, che fornì una boccetta di petrolio, allora usato per illuminare le case prive di energia elettrica, e la generosità del sottoscritto, che mise a disposizione le proprie calze, confezionò una specie di torcia fissata ad un mezzo metro di spago cui demmo fuoco grazie al braciere acceso da Campasulo all'esterno della sua abitazione.
Mentre Zarafino faceva bella mostra di sé sul muretto, tre di noi lo raggiunsero indifferenti e concilianti per circondarlo e celargli la torcia, di cui peraltro il nostro aveva subito avvertito l'odore e il fumo; ma non fece in tempo a scoprirla che se la ritrovò sotto il sedere e le sue vesti presero fuoco in men che non si dica.
Che spettacolo, ragazzi! Lui fiammeggiava e noi che scappavamo gridando: a carnevale ogni scherzo vale! Per fortuna sopraggiunse Nannina a' reggina che gli rovesciò addosso un secchio d'acqua gelata e le fiamme si estinsero. Ma lasciarono il segno: non solo su Zarafino (che ovviamente finì al pronto soccorso), ma anche su di noi, per il trattamento di cui fummo oggetto in famiglia. Che soggetti, noi archigiani!
Chiudiamo qui la trilogia sull'Arco di porta Napoli, consegnando ai lettori l'arcano del confine tra leggenda e realtà.

Nello Boragine
(da Il Sidicino - Anno IX 2012 - n. 4 Aprile)