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Il carcere sidicino

 

All'epoca cui ci riferiamo, gli anni cinquanta del secolo scorso, Teano era al tempo stesso più piccola e più grande di oggi: era più piccola per estensione e più grande per numero di abitanti.
Di questi ultimi, che sono i protagonisti e la ragione d'essere de il Sidicino, ci siamo doverosamente e rispettosamente occupati più volte, specie in relazione a quei personaggi che hanno lasciato, a vario titolo, un ricordo o una testimonianza significativa nella memoria collettiva del nostro popolo.
Questa volta, fedeli allo spirito ed alla funzione del giornale, vogliamo invitare i nostri lettori a sofferrnare per qualche minuto la loro attenzione sul cammino o, se preferiscono, sul progresso che, in termini etici, sociali, civili e politici hanno fatto i nostri concittadini dal dopoguerra ad oggi.
Per rendere più agile la lettura e più leggera la riflessione entriamo nel merito rivelando ai più giovani che là dove ora sorgono ed operano il laboratorio di analisi del locale nosocomio e l'Ufficio Tecnico del comune una volta insisteva e funzionava quello che nel titolo abbiamo identificato come “carcere sidicino”, una sorta di carcere “fai da te", gestito e diretto da tale Luigi, nipote acquisito di un compianto canonico, che sovente e per vie e mezzi diversi ha cercato di recidere la convivenza “more uxorio” del congiunto con i bar, complice e degno suo emulo un altro noto personaggio teanese, soprannominato “monsieur”, corrispondente a tale Rolando, bravissimo sarto di scuola parigina. Teatro dei loro tornei di scopa, spesso autentici siparietti di schermaglie pseudoculturali che erano la delizia dei rispettivi padrini e sostenitori (alcuni arrivavano persino a scommettere sul vincitore), era il bar Clemente (presso il campanile dell'Annunziata), dove di frequente arrivava, trafelato, il buon Quirino, custode del minicarcere, per ricordare al “direttore” che i detenuti reclamavano la loro ora d'aria. Questa si riduceva ad una sosta, piuttosto elastica nella durata, su una delle tre panche di ferro impiantate nel terreno del piccolo giardino, questo molto grande, del compianto prof. Marino.
L'alternativa alla panca era una passeggiatina di poche decine di metri lungo i vialetti del minigiardino, fra un fico, un arancio, un mandarino, un limone e un gelso, sei alberelli in tutto.
Li ricordo ancora, con gli occhi della memoria e della nostalgia, quando, insieme alle mie cuginette, di sera, li rendevamo compagni e complici dei giochi innocenti di ragazzini che ignoravano chi fossero quelli che, muti e quasi sempre immobili sui loro lettini, stavano al di là delle sbarre che separavano le celle dal giardino.
ll ricordo più vivo e sicuramente più suggestivo ed intrigante, però, è un altro: chi era quell'uomo (detenuto) che la mattina andava con “zio Luigino” (il direttore) a fare la spesa e la sera se ne stava, con e come gli altri, in una cella e che spesso forniva indicazioni e suggerimenti al custode per il menù del giorno dopo? Col tempo ho scoperto che si trattava di un detenuto “speciale”, uno di fiducia, insomma, quasi fosse un ospite in villeggiatura del quale il direttore si fidava al punto che, senza legge Gozzini e senza indulto, se lo tirava dietro ogni giorno, anche la domenica perché allora i negozi erano aperti anche la mattina dei giorni festivi; naturalmente “a piede libero” e per fare la spesa. Poi, senza nessuna scorta o formalità, senza permessi speciali e, soprattutto, senza complicazioni o scandali, i due rientravano mestamente al loro “domicilio”: l'uno carico di borse e pacchi vari della spesa, l'altro carico di... pensieri, forse per la “deroga” al regolamento penitenziario, forse per il prossimo duello cartaceo con Monsieur Roland!
Che tempi, ragazzi! Ne è passata di acqua sotto i ponti, da allora! E ne abbiamo viste davvero di tutti i colori. A cominciare dalla soppressione del carcere della “Via Nuova” per passare alla costruzione, dopo qualche anno, di un'altra struttura carceraria, quella di viale S. Antonio, che da anni, ormai, occupa uffici dell'ASL, e dove una volta mi vidi costretto a negare il diritto di voto ad un detenuto in occasione di una consultazione referendaria perché lo stesso non aveva inoltrato la prevista istanza all'ufficio competente nei termini stabiliti dalla legge elettorale allora vigente.
Più tardi, visto che i Sidicini sono brava gente, è stata soppressa anche la Pretura!
Come negare che la popolazione teanese ha imboccato la strada della saggezza e della redenzione?
E poi dicono che S. Paride vuole bene ai forestieri!

Nello Boragine
(da Il Sidicino - Anno IV 2007 - n. 1 Gennaio)