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Strumenti musicali "Fai da te"

 

Oggi il “fai da te” è una moda, un hobby, e, sotto il profilo industriale e commerciale, era anche una attività redditizia, una posta sicuramente attiva nel bilancio del settore. Un tempo, quando... Berta... filava, era pressoché pratica quotidiana, spesso coincidente con la necessità, sinonimo dell'arte di arrangiarsi. Agli adulti serviva per risolvere problemi di ordinaria quotidianità, come tagliare i capelli ai propri familiari senza essere barbieri; riparare porte, serrature ed infissi vari senza essere né falegnami né fabbri; non parliamo poi dei contadini che s'improvvisavano panificatori e talvolta calzolai, o delle donne tuttofare che ricorrevano al sarto solo quando il figlio doveva sposare...
Per i bambini e i ragazzi il “fai da te” era invece una risorsa, soprattutto, un gioco; ricco di risvolti motivanti e preziosi sul piano creativo e formativo, portatore di sudate gratificazioni e di indescrivibili emozioni!
Chi, tra quelli della mia generazione, non ha mai costruito o tentato di costruire, ad esempio, un aquilone? Bastavano poche leggerissime canne per il telaio a forma di rombo, da ricoprire con carta molto resistente e possibilmente colorata (negli anni quaranta costava pochissime lire), la quale serviva pure per ricavame delle strisce da fissare ad una estremità con funzione equilibratrice; alla estremità opposta un filo sottile e molto lungo, manovrato dal piccolo costruttore che con l'aiuto di Eolo cercava di pilotarlo oltre le nuvole.
I più grandicelli si dedicavano volentieri alla costruzione della trottola (più nota in dialetto come “strummolo”); anche in questo caso era sufficiente poco materiale di fortuna: un pezzo di legno di forma tondeggiante in testa ed appuntito alla base, attraversato da un perno (o da un chiodo senza testa) e avvolto a spirale da una cornicina che poi il giocatore, nel lancio su una superficie possibilmente non accidentata, faceva svolgere velocemente per imprimere all'oggetto un moto rotatorio sul proprio asse.
Ma il giocattolo che ci prendeva di più era il cosiddetto “mazz' e pivz'” (mazza e mazzuolo), oppure “nizza”: si tratta di uno strumento che si compone di due pezzi di legno e che in Toscana si chiama “lippa”: si pratica all'aperto o su terreni ghiaiosi ed ineguali, con due bastoni di cui uno più lungo (mazza) con cui il giocatore batte un punto dell'altro più corto, a forma di fuso (il pivz), cercando poi di colpirlo a volo per farlo balzare lontano: facile immaginare il consenso e l'entusiasmo dei nostri genitori...
Non erano pochi, poi, i ragazzini che si dedicavano alla costruzione di giocattoli di tipo particolare, precisamente di tipo sonoro o, se si preferisce, “musicale”. Alcuni, i più piccini, per fare presto, utilizzavano i coperchi delle pentole che, usati in coppia, imitavano, naturalmente in modo molto improprio ed approssimativo, i piatti metallici e così non era raro assistere a qualche improvvisato corteo bandistico di bambini armati di attrezzi da cucina: coperchi, cucchiai, schiumarole, pentole, mestoli, bottiglie e bicchieri... sì, avete letto bene, bottiglie e bicchieri di vetro.
Bisogna infatti sapere che esiste anche una sorta di strumento musicale che fa pensare al carillon o allo xilofono, si chiama bottigliofono o bicchierofono, a seconda che si usino le une o gli altri, contenenti ciascuno una diversa quantità d'acqua, in modo da ottenere suoni di altezza diversa (più acqua = suono grave e viceversa). L'uno o l'altro possono essere suonati per insufflazione o, molto più efficacemente, per percussione; inoltre le prime possono essere anche sospese con un po' di spago ad un bastone tenuto in posizione orizzontale in modo che, oscillando, offrono suoni più nitidi e squillanti, come succede, ad esempio, per le campane tubolari.
La cucina, che in passato rappresentava il cuore della casa e della famiglia, oltre che il regno della donna, era un vero serbatoio di materie prime ed un piccolo laboratorio per la realizzazione di tanti piccoli capolavori “ludici" ad opera di ragazzini che spesso facevano disperare le mamme a causa della loro eccessiva inventiva e bravura... Ve la immaginate la sorpresa e la rabbia di una mamma quando, per scolare la pasta, si trovava tra le mani un tamburo invece del solito, familiare e collaudato colapasta? Già... proprio così: il figlio, in questo caso, aveva utilizzato il colapasta come struttura di base per la costruzione di un tamburo fatto in casa, che possiamo identificare indifferentemente come tamburo-colapasta o come colapasta a tamburo!
Materiale occorrente: colapasta + membrana di tela (o di pelle di camoscio inumidita, o di tela di cotone verniciata con lacca) + ago abbastanza grande + spago + percussore (ad esempio un cucchiaio o una bacchetta di legno rivestita di stoffa ad una estremità in modo da trasformarla in un rmazzuolo). Quanto alla tela, bisognava stenderla e tenderla al massimo sul lato aperto del colapasta, servendosi di un ago a spago per fissarne i bordi della circonferenza lungo i fori dell'utensile, da una estremità all'altra. L'attivismo e la fertilità creativa dei ragazzini offrivano, sempre in cucina e in relazione al mondo musicale, risultati e prodotti talvolta sorprendenti ed originali, come il caso del sonaglio-bracciale. Mettevano a bagno in acqua calda dei coperchietti delle bottiglie di bibite per farne staccare il sughero. Facevano un foro al centro di ciascun coperchietto e li disponevano a coppie in modo che le superfici lisce combaciassero. Legavano le coppie ad un bracciale di spago con un nodo tra una coppia e l'altra: lo strumento era pronto per l'uso.
Un altro piccolo capolavoro era quello del carillon di chiodi: una scatola di scarpe vuota o di cartone priva di coperchio faceva da sostegno e, in qualche modo, da cassa di risonanza. Uno spago veniva teso internamente tra una parete leticala e l'altra, in senso orizzontale e parallelo ai due lati più lunghi; ad esso venivano legati dei chiodi di diversa lunghezza (il più grande produceva un suono più grave). Per farlo suonare il suonatore (...si fa per dire) si disponeva frontalmente allo spago e percuoteva i chiodi con un altro chiodo...
Una variante del bracciale era la racchetta-tamburrello; bastavano una racchetta da ping-pong e 4 o 5 coppie di coperchietti da inchiodare su una della facce della racchetta: per farla suonare bastava scuoterla o percuoterla sul retro con una mano.
Gli strumenti fin qui presentati fanno parte della famiglia delle “percussioni”, ma i piccoli artisti si cimentavano anche su altri fronti. Per esempio sugli strumenti “a corda", come tipo rudimentale di chitarra, costituita da una scatola di cartone attorno alla quale venivano tesi dei fili di gomma o di nylon che, pizzicati con maggiore o minore tensione, davano suoni diversi, anche in funzione del loro diverso spessore.
Un'altra varietà di chitarra si otteneva disponendo su un asse di legno una scatola di fiammiferi avente funzione di ponticello, sul quale viaggiavano, ben tesi, alcuni fili di gomma avvolgenti longitudinalmente l'asse che funzionava come base; spostando la scatoletta, cambiava il suono delle corde.
Ma il capolavoro, per i più grandicelli, era la chitarra costruita su una tavoletta di legno con due ponticelli, sempre in legno, sagomati con spessore degradante, portatori di minuscole scanalature in cui si adagiavano le corde e fissati in prossimità dei due lati corti della base, parallelamente ai medesimi. Le corde erano di rame e venivano estratte dalla guaina bianca dei fili elettrici, che allora non era difficile rimediare tra le macerie dei bombardamenti...
L'elenco, comprensibilmente incompleto, non può trascurare un accenno alla famiglia dei “fiati”. Ci limitiamo ai più semplici e diffusi: il fischietto di carta ed il flauto di canna. Il primo si otteneva tagliando e piegando una striscia di carta bianca come a volerne ottenere uno scaleo o uno sgabello in posizione orizzontale, mantenendone i due lembi leggermente distanziati tra loro e ripiegati; per farlo suonare o, meglio, fischiare, bisognava appoggiare la bocca ai due pezzettini di carta ripiegati. Il secondo, che era sempre del tipo diritto o dolce, non era altro che un breve ronco di canna di bambù, sagomato con un coltello in modo da renderne l'estremità superiore più o meno simile all'imboccatura di un clarinetto; lungo la parte inferiore del ronco venivano praticati dei fori il cui numero e misura dipendevano dall'estro e abilità del costruttore. Per amor del vero bisogna dire che i risultati musicali erano quasi sempre deludenti.
Avviandoci alla conclusione non possiamo tacere su uno strumento musicale fai da te facilissimo da costruire e da suonare: il cosiddetto pettine-fischietto. Occorrevano solo due elementi: un pettine ed un foglio di carta velina od oleata da piegare a metà ed appoggiare sui denti del pettine. Per farlo funzionare occorreva appoggiare la bocca sulla carta e canticchiare o produrre un suono del tipo “a bocca chiusa", come quello del secondo atto della “Madama Butterfly” di Puccini, spostando il pettine con un movimento orizzontale da una parte all'altra e soffiando con più forza là dove i denti sono più fitti. Questo tipo di strumento presenta una differenza di un certo peso e significato rispetto a tutti quelli che lo precedono: appartiene alla strana e misteriosa famiglia dei cosiddetti “mirliton”, dei quali, se mai, ci occuperemo in altra occasione.

Nello Boragine
(da Il Sidicino - Anno III 2006 - n. 6 Giugno)