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Attenti a quei due! Attenti a quei due!

 
Spigolature di bandisti adolescenti
 

Memoria e nostalgia sono le coordinate fedeli e puntuali di chi, non più giovanissimo, avanza restio e impotente verso un traguardo obbligato, del quale conosciamo solo il perché, ma ignoriamo, per fortuna. il come, quando e dove.
E così ci fanno compagnia i ricordi: belli, brutti e, come di renna Gianni Rodari, "così, così". Vorremmo rivivere i primi, cancellare i secondi e modificare i terzi, ancorandoli alla saggezza ed ai bisogni del presente.
Qualcuno la pensa diversamente? Ne ha facoltà, stante la libertà di ragionare con la propria testa: Qualcun altro dice che il mio è un sogno?
Nessuna obiezione, anzi, sottoscrivo la sua posizione, permettendomi però di osservare che forse un popolo può fare a meno degli eroi, ma non può fare a meno di sognare, pena la mortificazione della fantasia, l'affievolimento della speranza, il rallentamento del progresso e, in una parola, la crescente incapacità di gustare la voglia di vivere.
Attingiamo dunque liberamente al passato, sia pure con una inevitabile vena di nostalgia per materiale impossibilità di ripercorrerlo, specie nei suoi aspetti positivi.
Nel nostro caso vogliamo richiamare alla memoria un preciso periodo temporale, quello degli Anni Cinquanta e, segnatamente, quello legato ad un contesto che tanta parte ha avuto nella nostra vita di relazione e nella nostra formazione: mi riferisco al contesto “musicale”, ed in particolare alla banda musicale cittadina, dove ho mosso i primi passi per l'alfabetizzazione che in seguito ha prodotto messe abbondante e gratificante, sul piano artistico e su quello umano. ln relazione a questa ultima dimensione viene in mente un adagio popolare che i nostri genitori ripetevano spesso ai giovani: “se vuoi diventare un uomo devi fare il militare"... salvo poi verificare l'efficacia della ricetta. E, a proposito, le ragazze come facevano a diventare “donne” visto che allora non esisteva per loro la... prospettiva militare?
Personalmente ho scoperto che avevano ragione, invece, alcuni colleghi adulti che ogni tanto ammonivano; “altro che vita militare... per imparare a vivere bastano un paio di stagioni in una banda di giro”.
A sostegno poniamo solo qualche considerazione: la giomata e l'attività di un militare hanno un inizio ed un termine più cento altre garanzie; il bandista, quello di professione, delle bande commerciali, ha una sola certezza, l'inizio della giomata lavorativa ; in punto di diritto può fare una sola cosa: mollare tutto e tornarsene a casa, rinunziando al compenso ed alla carriera, salvo altre complicazioni!
L'approfondimento ci porterebbe molto lontano; rientriamo nel tema che è quello dell'esperienza adolescenziale radicata in ambiente musicale, più o meno a cavallo degli anni cinquanta.
Bisogna sapere che tra Teano e Visciano esisteva una specie di gemellaggio tra le rispettive bande musicali, cosicché erano frequenti le trasferte di alcuni elementi dall'una all'altra formazione. Per motivi in parte tecnici ed in parte personali (ad esempio gli amministratori delle due parti erano amici di vecchia data oltre che colleghi di “clarinetto”). Del gruppo sidicino in trasferta a Visciano faceva immancabilmente parte il sottoscritto, che dal “genis” (strumento di armonia/accompagnamento) era da poco passato al “flicornino” (che nel campo della lirica corrisponde al soprano). Intanto si dà il caso che - per gli stessi motivi di cui sopra del gruppo caleno in trasferta a e con Teano facesse parte un mio coetaneo e collega di strumento; si chiamava Luigi di nome e Franco di cognome (Gigino per gli amici); era di una simpatia disarmante, pari solo alla prorompente vivacità ed alla evidente passione per la musica che lo ha poi portato alla direzione artistica della Banda Nazionale della Marina Militare, con la quale è venuto pure a Teano nel 1994.
Sembra superfluo, a questo punto, significare che Nello e Gigino formavano una coppia affiatatissima, inossidabile, inseparabile. Quante volte abbiamo dormito insieme... naturalmente come fratelli! E sui sacchi di paglia, come si usava in quei tempi in taluni paesini delle nostre zone, raggiunti rigorosamente a piedi, ad eccezione di un paio di colleghi più fortunati che possedevano una bicicletta. Ce n'era uno che, beato lui, aveva un “motom“ (il primo motorino del dopoguerra, simile, nella forma, ad una bicicletta); figurarsi la nostra invidia e la nostra rabbia... cosicché, non appena se ne presentava l'occasione, gli bucavamo una gomma ed il poveretto, che veniva da Visciano, se la doveva fare a piedi, e, per sovrapprezzo, doveva tirarsi dietro, sudando e bestemmiando, anche il mezzo!
Anche i nostri padri si comportavano come due fratelli: lo si capirà meglio in avanti.
Regnavano fra noi due una intesa, una complicità ed una solidarietà che quasi sempre coincideva con l'omertà. Riuscivamo a sostenerci e ad interagire persino quando suonavamo: bastava un'occhiata o una leggerissima gomitata per far “entrare” l'altro e guadagnare qualche battuta di pausa. Ma tutto questo non bastava, purtroppo, ad evitare la punizione che i nostri severissimi padri ci infliggevano inesorabilmente, senza badare a spese... nel senso che ci coglievano “ndò cojo cojo”, in pubblico e in privato, insieme (cioè nello stesso tempo) o separatamente (prima uno e dopo un altro, a seconda delle circostanze o della manovre di autodifesa da noi poste in atto), a caldo (ossia subito dopo la trasgressione o il reato da noi consumato) e a freddo (dopo pochi minuti, come dopo qualche ora dal fatto): sembravano onnipresenti questi due castigamatti. Talvolta avevamo I'impressione che la notizia del reato li raggiungesse prima ancora che noi lo commettessimo. In realtà dobbiamo riconoscere le nostre colpe e le nostre responsabilità: ne facevamo veramente di tutti i colori, soprattutto per divertirci e ridere alle spalle dei colleghi.
A volte, con la superficialità e l'incoscienza tipiche degli adolescenti, lasciavamo la banda e ci perdevamo dietro a qualche ragazza che ci mandava regolarmente in bianco... e quando rientravamo in banda, nonostante gli accorgimenti e la cautela a cui si ricorreva, i due “mastini” trovavano sempre il modo di colpirci, anche in modo pesante e pericoloso!
ln tempi di ciliege, pere, pesche, ecc... i nostri obiettivi erano, comprensibilmente, gli alberi da frutta , al cui assalto partecipava pure qualche altro collega e allora il proprietario del fondo da noi razziato, verificati i danni, rischiava l'infarto: sarà tornato Attila?
Ma il divertimento maggiore era legato all'introduzione di un silenziatore artificiale nell'intemo di qualche strumento incautamente parcheggiato dal suo titolare su un tavolo, su un muretto, o in un angolo qualsiasi tra un servizio e l'altro. Le “vittime” abituali, e recidive, erano i suonatori di quello strumento che il popolo chiama comunemente “trombone” (in realtà si chiama flicorno basso o bassotuba o, più semplicemente, basso); trattandosi di uno strumento piuttosto pesante ed ingombrante, il suonatore o il portatore (di questi si dirà più oltre) tendeva a liberarsene appena possibile, ignaro o dimentico dei rischi che lo strumento incustodito correva, specialmente se nei paraggi stazionavano e tramavano “quei due”, i figli di Gerardo e Nicolino, ossia Nello e Gigino!
Uno faceva il palo e l'altro, sempre fomito di ovatta, ne introduceva un batuffolo nella parte più interna, quella curva, di una delle pompe che, per intenderci, svolgono la funzione di sfiatatoi. Se il tempo era poco si tappava la pompa generale, che è la più grande ma anche la più facile da bonificare... ed in questo caso la durata del godimento per gli autori dell'impresa era piuttosto limitata. Se c'era qualche minuto in più a disposizione, si sistemava il silenziatore all'interno di una polpetta corrispondente ad uno dei cilindri dell'istrumento, possibilmente quello centrale, così l'operazione di bonifica diventava più lunga e laboriosa, il che finiva per condannare gli autori dello scherzo a piangere due volte: la prima per le risate e la seconda per le mazzate!
Magari qualche volta eravamo innocenti. ma non c'era modo né tempo per dimostrarlo: scattava prima la vendetta! Spesso avevamo degli emulatori, per lo più colleghi occasionali e impropri, inseriti nella formazione per fare numero; li chiamavamo “bòtte”. Una “bòtta” era, praticamente, un figurante, un “portatore sano” di strumento insonorizzato, cioè muto, perché trattato come il basso, anche se in questo caso si preferiva manomettere il bocchino. Costoro venivano quasi sempre sensibilizzati dai musicanti più loquaci e saputelli circa la nostra pericolosità, e la parola d'ordine ormai ufficiale nell'ambiente bandistico era: “ATTENTI A QUEI DUE”. E così qualche volta i portatori sani ne approfittavano per ridere anch'essi due volte, alle spalle della vittima dello scherzo ed alle spalle dei soliti noti, che immancabilmente venivano puniti nonostante la loro innocenza.
In qualche caso accadeva che la trasgressione o l'errore fosse stato commesso da uno solo di noi due, ma il rituale si ripeteva invariabile e puntuale: calci e ceffoni a pioggia per tutti e due.
Oggi, a distanza di tanto tempo, mi sorge un dubbio: vuoi vedere che si sono ispirati al nostro caso i teorizzatori del teorema politico-giudiziario di tangentopoli che tuonava all'indirizzo di alcuni imputati: “lei non poteva non sapere!”?
È stata dura, cari lettori; ma, tutto sommato, ce la siamo goduta oltre che meritata.
A proposito, ma la parola d'ordine “attenti a quei due” riguardava i padri oi figli?

Nello Boragine
(da Il Sidicino - Anno III 2006 - n. 3 Marzo)