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Meridionali popolo di emigranti. Stirpe lavoratrice!

 

Prima del 1861 l'emigrazione meridionale era un fenomeno irrilevante. Nel 1830 in America si contavano appena 439 italiani, ma l'impennata di emigranti si verificò dopo l'annessione al Regno di Sardegna di quello delle Due Sicilie e le repressioni attuate al Sud dall'esercito piemontese. Va proferito, per integrità storica, che il quadro della dominazione piemontese negli anni immediatamente successivi alla unificazione non fu esaltante: ruberie generalizzate, sia di tipo rozzo sia ideate a livello legislativo per livellare il debito del Regno di Sardegna con le risorse del Regno delle Due Sicilie. A questo si aggiunsero le fucilazioni, le spietate rappresaglie in paesi accusati di connivenza coi briganti (li dissero briganti invece erano soldati, canta Mimmo Cavallo). Si parla di quasi un milione di morti, 54 paesi distrutti, stupri e violenze inaudite, processi e fucilazioni sommarie. Pensate cosa è segnalato da un diario di un Ufficiale sabaudo: “Entrammo in un paese e subito incominciammo a fucilare i preti e gli uomini, quanti capitavano”. Pontelandolfo paese del beneventano fu letteralmente raso al suolo. L'aspetto più indecente di questa porzione di storia è che sullo sfondo c'è una storia di debiti di guerra a cui si sommavano anche quelli per comprare quei famosi cannoni a canna rigata che permisero la vittoria sull'esercito borbonico. Il Piemonte era indebitato con Francia e Inghilterra ed il Regno Borbonico rappresentava una vera e propria miniera d'oro per la borghesia espansionistica piemontese e per gli affaristi internazionali. Le riserve auree del Regno delle Due Sicilie, (500 milioni in oro contro i 100 in carta dei piemontesi) avrebbero permesso di stampare carta moneta per circa tre miliardi una vera e propria manna se a ciò si aggiungono le nuove tasse imposte ai 9 milioni di abitanti, i risparmi, le terre ed i beni sottratti alle autorità ecclesiastiche destinati allo sviluppo dell'agricoltura padana. Tutto in nome dell'Italia Unita, canta sempre Mimmo Cavallo! Il Sud in verità fu depredato. L'abolizione del protezionismo e l'eccessivo liberismo dello stato sabaudo espose le industrie alla concorrenza esterna, l'economia dei Borboni non era certamente pronta all'internazionalizzazione come del resto quella italiana non lo è stata fino al 1960, 100 anni dopo! La stampa europea definiva il Sud Borbonico arretrato ed inefficiente, termine ancora oggi in uso per indicare qualcosa che non funziona, ma come giustificare il proliferare di attività industriali? Come mai molte fabbriche vennero smantellate come il famosissimo complesso di S. Leucio, i cui telai furono portati qualche anno dopo a Valdagno, dove fu creata la prima fabbrica tessile nel Veneto e le ferriere di Mongiana, i cui macchinari furono trasferiti in Lombardia? Si, l'economia del Sud, basata su principi protezionistici, fu smantellata in breve tempo. In cambio aggiunsero le tasse e la leva obbligatoria per i giovani da compiere in regioni lontane. Tra il 1880 e il 1925 partirono da tutta Italia sedici milioni di persone: un autentico danno del paesaggio antropologico italiano che si concluse (provvisoriamente) soltanto con l'avvento del regime fascista e i provvedimenti che esso mise in atto per migliorare le condizioni delle aree agricole dell'Italia. In seguito i vari Governi facilitarono la concentrazione industriale tra Lombardia, Piemonte e Liguria. Anche l'incentivo a un tipo più moderno di agricoltura andava a favorire le regioni d'élite del Regno; fu concepito scientemente un programma per trasferire in massa giovani braccianti venete nelle risaie piemontesi. Le mondine!
Oggi il meridione d'Italia è terra di immigrazione per tanti diseredati in cerca di un futuro migliore! Ma nello stesso tempo, come centocinquanta anni fa, continuano ad emigrare i migliori cervelli (come il Nobel Dulbecco, deceduto negli USA il 20 feb. u.s. ed al quale và il mio commosso e riconoscente pensiero. Grande figlio di una grande terra!). E i mali della nostra società: tassazione iniqua, lavoro statale ipertrofico, eccesso di regolamentazione rimangono invariati. Nell'oblio delle riflessioni sull'Unità d'Italia il revisionismo storico sul risorgimento potrebbe svolgere un ruolo propositivo e proiettato nel futuro, invece di reiterare le litanie in memoria di improbabili arcadie preunitarie. La riflessione sui fatti d'ombra del risorgimento (repressione delle specificità locali, iniquità fiscale, iperregolamentazione, favoritismi) possono gettare luce su mali odierni, dei quali la società italiana dovrebbe decisamente liberarsi.

Mario Biscotti
(da Il Sidicino - Anno IX 2012 - n. 3 Marzo)