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Indice Alfredo Balasco
 
 
Conoscenza, conservazione e valorizzazione del patrimonio
dei Beni Culturali e Ambientali nell'area del vulcano di
Roccamonfina (II parte)
 

Sul finire del X secolo, grazie all'energica azione di riorganizzazione del territorio ad opera dei Normanni s'ebbe una significativa ripresa della vita, con il ritorno della popolazione in pianura e il risorgere delle città. I Normanni rivoluzionarono completamente tutte le istituzioni tramandate dai bizantini, longobardi e musulmani e concessero ai monaci benedettini privilegi e incarichi di natura economica ed anche militare consistenti in una attività d'incastellamento del territorio, di bonifica dei suoli agricoli e di riassetto del territorio.
In questo clima s'ebbe una forte ripresa della città con la costruzione di complessi monumentali: castelli, palazzi, torri e in modo particolare si realizzarono nuove splendide cattedrali e s'ampliarono, in forme più monumentali, quelle preesistenti. Il modello architettonico di questi edifici s'ispirava a quello a pianta basilicale della grande chiesa desideriana di Montecassino. Il rinnovamento artistico tra XI e XII secolo non ebbe un percorso organico al Sud ma assunse caratteri diversi secondo le tradizioni culturali regionali e locali ove influirono da un lato fattori commerciali, attraverso l'azione delle repubbliche marinare tirreniche (Napoli, Gaeta, Amalfi) e adriatiche, e dall'altro la presenza degli arabi, dei normanni e dei bizantini.
Nel territorio in esame si ricordano a titolo di esempio le cattedrali di Teano, Sessa e Carinola, certamente tra i più importanti edifici sacri dell'area, che furono innalzate con ampio uso di materiali antichi e abbellite da elementi scultorei e decorativi di grande pregio e raffinatezza.
La cattedrale di Teano fu consacrata nel 1071 e edificata sui resti di almeno due chiese più antiche precedute, forse, da un tempio dedicato ad Iside. Quasi totalmente distrutta nell'ultimo conflitto mondiale, seppure ben ricostruita nelle forme architettoniche originarie da Roberto Pane intorno alla metà degli Cinquanta del secolo scorso, conserva ben poco del suo antico splendore di chiesa basilicale a tre navate ad eccezione di parte delle colonne e dei capitelli antichi rimessi in opera nell'aspetto attuale. Rimangono, inoltre, della originaria cattedrale l'arco trionfale rinascimentale del presbiterio, e parte del bellissimo ambone del XIII secolo, ma anch'esso molto rimaneggiato e ricostruito più volte, e la torre campanaria, di cui restano due ordini sui tre originari.
Caso diverso è la splendida cattedrale di Sessa Aurunca, conservata intatta, la cui costruzione iniziò nel 1103, consacrata nel 1113, ma solo nella parte relativa al transetto e alla cripta, e del tutto terminata nel suo impianto architettonico, con l'aggiunta del portico e della fronte esterna, tra la fine del XII e gli inizi del XIII secolo.
La chiesa a pianta basilicale di tipo cassinese, ripartita in tre navate mediante una doppia fila di colonne su cui s'innesta un transetto rettangolare non sporgente, concluso ad est da tre absidi. Per le pareti perimetrali delle navate e in parte della facciata furono impiegati grandi blocchi in calcare recuperati da edifici romani , per il transetto e la parte alta della facciata il tufo come in altre cattedrali romaniche di Terra di Lavoro.
L'interno è scandito da archi a tutto sesto che poggiano su pulvini modanati raccordati a capitelli corinzi, quasi tutti di spoglio, insistenti su colonne antiche in cipollino, portasanta e granito che poggiano su basi in marmo anch'esse di recupero. Il transetto risulta sopraelevato per fare posto alla sottostante cripta retta da colonne e capitelli su cui scaricano volte a crociera a sesto acuto, simile a quelle delle cattedrali di Calvi, Alife e Sant'Agata dei Goti.
Per la fabbrica della chiesa furono impiegate maestranze provenienti dai maggiori centri artistici della stessa Campania: amalfitane, pugliesi e siciliane. Il cantiere, come sopra accennato, si protrasse fino al XIII secolo, quando fu terminato l'attuale portico tripartito in arcate, di cui quella centrale a sesto acuto. Esso venne riccamente decorato da un complesso programma figurativo, con una folta serie di animali e di rilievi sulla vita di S. Pietro e sul ciclo dei mesi. Nella facciata, inoltre, sono impiegati molti pezzi di recupero antichi tra i quali alcuni architravi decorati con maschere tragiche, pantere e tralci di vite, in marmo proconnesio, provenienti dall'edificio scenico del teatro romano. La decorazione venne estesa anche alla facciata fortemente caratterizzata da un appariscente finestrone centrale inquadrato da una edicola di tipo pugliese. Le trasformazioni interessarono anche l'interno dell'edificio con il rifacimento della copertura del transetto, inizialmente in legno, con una volta costolonata in muratura. Venne, ancora, realizzato un bellissimo pavimento musivo policromo dalla complessa geometria ornamentale. Ma il pezzo più pregevole dell'intera chiesa è il monumentale pulpito sorretto da sei colonne, poggianti su leoni stilofori, sormontate da capitelli figurati. Su di essi insistono archi leggermente ribassati, al di sopra dei quali corre una cornice fogliata. Su i due pennacchi del lato occidentale del pulpito, troviamo le figure dei profeti Daniele e Zaccaria affiancati dalla Sibilla Eritrea e da un profeta anonimo. Accostato al pulpito venne posto un notevole cero pasquale su basamento marmoreo, interamente scolpito da figure di danzatori alternati a elementi vegetali. Lo scultore, artefice di questo insieme di opere è da individuarsi nel Magister Pellegrino, che le eseguì intorno alla metà del XIII secolo.
Tra il X e l'XI si diffusero in Campania, tanto nell'area della costiera amalfitana che nelle aree interne, luoghi di culto rupestri nati in prossimità di centri urbani e di rado in zone isolate lontane dagli abitati. L'origine di questi luoghi sacri rupestri era legata ad una committenza religiosa o laica, la loro presenza è attestata anche nell'area del Roccamonfina, e con casi di notevole fattura artistica. Oltre alle note grotte calene, quella dei Santi e delle Fornelle, si ricorda la chiesa rupestre di S. Maria in Grotta a Rongolise , a pochi chilometri da Sessa Aurunca, che conserva pregevoli affreschi, tra cui una Vergine in trono tra due angeli dipinta alla fine del X secolo e una pregevolissima Dormitio Virginis, della seconda metà del XII secolo, che stilisticamente e per il titulus in greco è di chiara matrice bizantina.
Il processo di incastellamento promosso dai benedettini, ma anche dai nuovi conquistatori Normanni contribuirono alla diffusione di rocche e castelli, che tuttora segnano il paesaggio tra l'areale del Roccamonfina e le zone limitrofe poste tra la Campania e il basso Lazio e che furono successivamente rafforzate e ampliate anche in età angioina e aragonese.
Al tempo dei Durazzo (1386-1414), la famiglia Marzano, filo-angioina, venne in possesso di tutta l'area tra Sessa e Teano e intraprese il restauro e la costruzione di molti edifici, tra i quali il castello di Sessa e quello di Teano che furono ampliati e abbelliti con spazi caratterizzati da grandi volte a crociera a sesto acuto.
Con gli aragonesi, nella prima metà del XV secolo, iniziò per Napoli e per la Campania, particolarmente durante il regno di Alfonso d'Aragona, un periodo culturale tra i più fecondi per la molteplicità dei linguaggi artistici, che associavano caratteri di prevalente tradizione gotica e catalana con quelli provenienti dall'area toscana ispirati alla cultura rinascimentale. Quindi un repertorio che utilizzava diverse matrici linguistiche, che si diffuse velocemente da Napoli verso le maggiori città del regno, fino a penetrare le zone più periferiche, grazie ad abili maestranze itineranti, sicuramente coordinate e istruite da grandi architetti, laddove furono realizzati edifici di grande impegno strutturale e architettonico. La presenza dei maestri maiorchini diffuse un patrimonio di immagini caratterizzato da elementi architettonici e scultorei riccamente intagliati nel tufo grigio tenero, con un gusto ornamentale esuberante, virtuoso e dinamico. Molte zone della Campania settentrionale, principalmente per la presenza della potente famiglia dei Marzano, duchi di Sessa, Carinola, Teano e Marzano Appio, promotori di molte iniziative costruzione di chiese, palazzi e conventi in tali centri, conobbero una vera rinascita urbanistica e architettonica. Di questo periodo rimangono tuttora numerose testimonianze, pressoché inedite, che, seppure nella loro frammentarietà e a volte carenti di un certo rigore stilistico, mostrano una certa autonomia formale e di gusto tanto da caratterizzare ancora oggi, malgrado le molte mutilazioni e trasformazioni subite nel tempo, l'aspetto architettonico e urbanistico di numerosi centri urbani dell'area in questione. Tanto che alcuni quartieri di questi abitati, come acutamente già evidenziava Massimo Rosi, si configurano come veri e propri “barrios catalani” dalla forte connotazione commerciale, ma anche militare.
Numerose sono le testimonianze culturali dei secoli successivi al XV secolo, in modo particolare a Sessa e a Teano, ma è altrettanto notevole il patrimonio edilizio nelle aree rurali ove non è raro imbattersi in episodi architettonici, pittorici e scultorei, d'interesse storico e talvolta anche di un certo pregio artistico.
Episodi presenti anche in epoche successive, in modo particolare tra il XVII e XVIII secolo, ove non è raro imbattersi in chiese, masserie e abitati rurali dotati di grande dignità, seppure essenziali nella qualità architettonica e nell'uso povero dei materiali e mezzi costruttivi, ma espressione di una civiltà contadina oramai estinta e talvolta impreziosita, come gemme rare, da complessi palazziali di grande pregio architettonico e decorativo, edificati da una nobiltà terriera ricca che non disdegnava di risiedere in campagna. Un patrimonio cosiddetto minore a cui bisogna restituire dignità e valore, necessario per trasmettere a chi ci seguirà la memoria storica di una terra che ha svolto e potrà ancora svolgere un ruolo fondamentale nella crescita in positivo della Campania.

La conservazione, la valorizzazione e la sostenibilità
La conoscenza delle peculiarità insite nel territorio costituiscono la base per favorire un sistema di sviluppo sostenibile dell'area, che tenga conto non solo della sfaccettata realtà sopra accennata, ma anche di un insieme d'interventi indirizzati alla conservazione e alla valorizzazione, attraverso una fruizione intelligente degli stessi e prevedendo itinerari tematici per coinvolgere sia la gente del posto e sia i visitatori esterni.
Appare evidente che per attuare una pianificazione con tali caratteristiche occorrerà sviluppare azioni sinergiche che possano coinvolge tutte le istituzioni civili e scientifiche, superando i campanilismi locali che talvolta costituiscono un limite ad una efficace azione di valorizzazione generalizzata, applicata su zone omogenee sotto il profilo culturale e paesaggistico. Onde garantire il massimo della conservazione e della valorizzazione sarà determinante superare le logiche locali da un lato e dall'altro impedire il degrado e la distruzione di quelle aree intermedie fondamentali alla conoscenza, superando i limiti delle mura storiche cittadine. A tale proposito i dati morfologici, pedologici, ambientali e geografici assumono una importanza non minore di quelli più eclatanti.
Una adeguata valorizzazione di tali beni potrà essere attuata attraverso progetti integrati e tematici di valenza interterritoriale, come oltretutto auspicato dalle attuali direttive europee, favorendo una crescita del territorio in coerenza e in armonia con le risorse presenti in esso. In tal senso, i parchi naturali, archeologici, i parchi del gusto, il recupero dei centri antichi, del patrimonio edilizio rurale sono strumenti di tutela attiva e costituiscono i veri elementi guida per una corretta pianificazione del territorio. Ma sarà fondamentale creare interdipendenza tra i vari ambiti territoriali limitrofi, promuovendo per essi itinerari tematici per aree omogenee sotto il profilo storico, culturale e ambientale e su cui attrarre l'interesse dell'imprenditoria intelligente e dei visitatori.
In conclusione si rende opportuno e urgente, dunque, elaborare nuovi ed adeguati strumenti di programmazione per uno sviluppo coerente e in armonia con le risorse presenti in tutto il contesto areale. In tal senso si potrebbe attuare un progetto generale sull'intero comprensorio del Roccamonfina, individuando nei centri urbani antichi di Teano e Sessa, nel sito paleontologico delle “Ciampate del Diavolo” e in quello della Torre di Pandolfo le sue porte d'accesso, da cui potere diramare i percorsi di visita verso le aree interne e la costa. I punti qualificanti di tale progetto sarebbero: la realizzazione di una serie di parchi archeologici, il recupero dei centri storici e dell'edilizia rurale, la messa in rete dei musei archeologici già esistenti e di quelli naturalistici del Parco regionale di Roccamonfina, percorsi naturalistici e gastronomici all'interno del territorio, con particolare riguardo per le zone interne di grande pregio paesaggistico. Per potere attrarre i visitatori sarebbe in tal caso necessario individuare degli itinerari tematici utili alla comprensione della storia del luogo e dei manufatti. Gli itinerari verrebbero supportati da adeguate strutture didattiche poste lungo i percorsi tematici e utilizzando le nuove tecnologie informatiche. Ma, oltre alla valorizzazione delle emergenze note, occorrerà porre particolare attenzione alla conoscenza e al recupero degli agglomerati urbani rurali, interessanti per la spontaneità degli abitati e per la presenza talora di elementi decorativi (pittorici, scultorei e architettonici) di grande interesse e pregio.
Voglio concludere dicendo, che proprio in questo momento di grave crisi economica, investire su uno sviluppo del territorio compatibile con le sue risorse e qualità ambientali - culturali, può costituire una fonte non solo di crescita generale dell'area ma anche una grande possibilità di lavoro e in modo particolare per le nuove generazioni.

(Fine)

Alfredo Balasco
(da Il Sidicino - Anno X 2013 - n. 2 Febbraio)