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Indice Alfredo Balasco
 
 
Conoscenza, conservazione e valorizzazione del patrimonio
dei Beni Culturali e Ambientali nell'area del vulcano di
Roccamonfina (I parte)
 
“Un selciato sconnesso e antico / è un umile cosa, non si / può nemmeno confrontare / con certe opere d'arte, d'autore, / stupende, della tradizione Italiana. / Eppure io penso che questa stradina / da niente, così umile, sia da difendere / con lo stesso accanimento, con la / stessa buona volontà, con lo stesso / rigore, con cui si difende l'opera d'arte / di un grande autore. Nessuno si / rende conto che quello che va difeso è / proprio questo passato anonimo, / questo passato senza nome, / questo passato “popolare”. (P. P. Pasolini 1974)
 

Il territorio di Sessa Aurunca e Teano

Il comprensorio del Roccamonfina, posto geograficamente nella parte nord-occidentale dell'Alto casertano è l'area compresa tra il fiume Garigliano, il complesso vulcanico spento di Roccamonfina, la catena montuosa del Massico e la valle del Volturno, rappresentando l'accesso naturale alla Campania da chi giunge dal basso Lazio e dal Molise. Esso è parte integrante dell'omonimo Parco Naturale Regionale il quale, con i suoi sette comuni, in termini di superficie, è il più grande dei parchi della Campania oltre a costituire, insieme al Parco del Matese, per la suggestiva bellezza del paesaggio naturale e morfologico, il vero polmone verde della provincia di Caserta.
Geologicamente vi predominano lave e tufi, risultanti dall'attività effusiva del vulcano di Roccamonfina (antico Mons Mefineus) attivo tra i 630.000 e 50.000 anni fa. Alla geologia delle lave e dei tufi si contrappone quella dei calcari del Monte Maggiore e del Massico, costituendo di fatto i limiti naturali del vulcano rispettivamente verso est e ovest. Attualmente il vulcano costituisce il nucleo principale del Parco Naturale Regionale del Roccamonfina e sulle sue pendici, folte di vegetazione, trova ampia diffusione il castagno, talvolta la quercia, esuberante per la bellezza dei colori e dei toni, particolarmente in primavera e in autunno. Dalle alture del vulcano si godono paesaggi suggestivi che spaziano sull'intera pianura campana e basso laziale, la cui ampiezza visiva s'estende fino alle isole del Golfo di Napoli e a quello di Gaeta. Al paesaggio d'altura si succede quello collinare caratterizzato dalla dolcezza dei rilievi, ove prevalgono gli ulivi, vigneti e alberi da frutta. Il paesaggio di pianura costituisce il limite sud ovest dell'areale in direzione della costa e di quello, più ad ovest, delimitato dal corso del fiume Garigliano che separa la Campania dal Lazio. I rilievi del vulcano sono profondamente incisi da corsi d'acqua e il fiume Savone è il principale di essi. Già citato da Plinio il Vecchio nel terzo libro della Naturalis historia, esso attraversa i territori dei comuni di Roccamonfina, Teano, Francolise e Mondragone. Il suo percorso lungo le pendici del vulcano è caratterizzato da profondi valloni e canaloni ove è facile imbattersi in suggestive cascate, sorgenti, alcune delle quali minerali, ritenute già salutari nel mondo antico, ruderi di mulini e ferriere, datati tra il XV e XVIII secolo, ma anche interessanti neviere e una rete incredibile di muretti a secco posti a protezione della rete stradale selciata e dei campi.
È importante sottolineare, a questo punto, che il contesto di cui sopra conserva tuttora un importante patrimonio culturale ancora poco valorizzato in virtù di una pianificazione territoriale scarsamente attenta alle risorse del territorio e carente nella capacità promozionale e d'inserimento di esso nei circuiti del turismo culturale.
Alla scarsa valorizzazione s'aggiunge un processo di degrado dei contesti urbani e rurali, attribuibile allo sfruttamento e al saccheggio delle risorse, in palese contrasto con una crescita sostenibile che sappia coniugare le esigenze dell'economia con quelle dei valori ambientali, storici, culturali e sociali di un territorio. Occorre evidenziare un ulteriore aspetto della questione, certamente non secondario, cioè la mancanza, allo stato attuale, di una schedatura e catalogazione puntuale del patrimonio culturale dell'area.
Fatta eccezione per i casi più eclatanti, tutto il resto è ancora poco noto anche alle stesse istituzioni preposte alla sua tutela e salvaguardia. La conoscenza rimane, quindi, un aspetto fondamentale, costituendo il primo passo per attuare una strategia che eviti la scomparsa ed impedisca trasformazioni arbitrarie e indiscriminate di tale patrimonio.
Tutto l'areale presenta a tutt'oggi caratteristiche di conservazione del territorio notevoli, anche se negli ultimi tempi questa integrità è stata compromessa in alcune parti e principalmente nei centri urbani più grandi e nelle aree più soggette alla speculazione edilizia come nella fascia costiera.
In taluni casi si è resa necessaria l'adozione di un programma di conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale integrandolo con i diversi aspetti storico-architettonici, archeologici, paesistici e ambientali.
In questo quadro appare irrinunciabile la conservazione e il recupero degli abitati antichi e rurali, nei quali è possibile cogliere l'alternarsi della presenza umana dalla fine del mondo antico ad oggi, del paesaggio agrario, seppure in parte trasformato e talvolta compromesso dalle esigenze relative allo sfruttamento agricolo odierno e da una pianificazione territoriale troppe volte poco attenta alle qualità dell'ambiente.
L'abbandono in atto degli abitati storici e di quelli rurali, che in alcuni casi supera il 30% delle case e nei casi più eclatanti si riscontra addirittura lo svuotamento totale d'interi tessuti edilizi, costituisce uno dei fenomeni più preoccupanti per la conservazione e trasmissione alle generazioni future delle testimonianze di interi contesti di edilizia storica e rurale. Un fenomeno che andrebbe interrotto attraverso una pianificazione urbanistica che privilegi il recupero dell'esistente e non l'edificazione di natura espansiva e speculativa.
Il recupero della edilizia storica comporta una lettura attenta e rigorosa del linguaggio locale attraverso la conoscenza dei materiali, delle tecniche costruttive e della evoluzione storica e tipologica degli abitati storici. Tale analisi è indispensabile, da un lato al riconoscimento dei valori storici e materiali dei manufatti e dall'altro alla valutazione delle caratteristiche meccaniche delle murature antiche e quindi degli interventi statici da adottare per la loro messa in sicurezza contro gli eventi sismici. Solo in questo modo si potrà evitare la perdita di un patrimonio edilizio irripetibile per tutto ciò che riesce a trasmettere in termini di valori storici, di tecniche costruttive, di materiali e di vita vissuta da parte delle generazioni che ci hanno preceduto.
Vorrei qui ricordare che il termine “centro storico” identifica una precisa porzione della città e cioè il nucleo più antico o le costruzioni che rappresentano la parte originaria del tessuto urbano.
Tuttavia in tempi recenti si è preferito abbandonare tale concetto in quanto ritenuto riduttivo nei confronti di tutte quelle valenze culturali non contenute all'interno di una determinata area della città storica e monumentale.
Una visione che trova fondamento nel fatto che all'interno di un determinato areale, oltre ai centri urbani rilevanti, sono presenti piccoli insediamenti rurali, nonché singoli manufatti (masserie, fattorie, luoghi di produzione) di valore culturale e ambientale pari a quelli cittadini, meritevoli ugualmente di essere salvaguardati e recuperati e in modo particolare per tutto ciò che attiene gli aspetti della vita quotidiana, compreso il cibo e i prodotti agricoli.
Si vedano ad esempio i centri di Teano, Sessa, caratterizzati da antichi impianti, di origine preromana e romana, con fasi medievali e trasformazioni quattrocentesche, custodi di un patrimonio edilizio e architettonico di grande rilevanza sotto il profilo storico e ambientale, ai quali si aggiungono nuclei abitati minori e aree d'interesse archeologico che danno luogo ad un paesaggio estremamente ricco e articolato.

La storia, gli abitati e l'architettura

Ritengo, a questo punto, utile e doveroso approfondire alcuni aspetti necessari alla conoscenza storica dell'area, insieme alle problematiche, talvolta nodali e critiche, che si relazionano ad essa.
Le genti italiche degli Aurunci e dei Sidicini, che abitarono questo territorio dal VI secolo a.C. hanno lasciato numerose testimonianze nelle necropoli, nelle opere difensive e principalmente nei luoghi sacri costituiti da santuari legati al culto di divinità legate alla fertilità e alla sfera domestica. Ingresso naturale alla Campania settentrionale, l'area fu frequentata fin dal pleistocene inferiore da esemplari di ominidi (Homo heidelbergensis) vissuti circa 350.000 anni fa, che lasciarono impresse le loro impronte nei territori dei comuni di Tora e Piccilli e di Marzano Appio.
Alla fine del II millennio a.C. il popolo degli Ausoni-Aurunci occupò l'area posta tra il basso Lazio e la Campania settentrionale, successivamente si stabilirono in questa parte della Campania altre culture (Etruschi, Sidicini, Sanniti) e poi oggetto di particolare interesse, per la sua posizione strategica in quanto porta d'accesso alla fertile pianura campana, da parte dell'espansionismo romano con le deduzioni delle colonia latina di Suessa nel 313 e di quella romana di Sinuessa nel 296 a.C.
Grazie alla ricerca pionieristica di Werner Johannowsky, negli anni Sessanta del secolo scorso, si è consolidata in questi ultimi quarant'anni un filone di studi e ricerche sul campo, grazie all'opera incisiva della Soprintendenza Archeologica, prima di Napoli e Caserta e poi quella di Salerno, che ha permesso di avere un quadro molto più preciso sulle dinamiche insediative e sulle culture del territorio per quanto riguarda il mondo antico. Ad una prima fase organizzativa, in età arcaica e preromana, incentrata su villaggi sparsi nel territorio, con luoghi di aggregazione principalmente nei santuari e nei siti fortificati posti in altura, si passa, nel corso del IV secolo a.C., alla fondazione di vere città: Teanum Sidicinum, città stato dei Sidicini, nata per un fenomeno di sinecismo, e Suessa come colonia latina. Entrambe furono dotate di mura in grandi blocchi di tufo accuratamente squadrati e posti in opera di testa e di taglio, nonché di impianti urbani con quartieri delimitati da insulae regolari. In queste due città negli ultimi anni si sono intraprese importanti indagini conoscitive e campagne di scavo che hanno aggiunto nuovi e importanti dati sulla topografia e sui monumenti dei due importanti centri campani. Nel contempo la ricerca s'è allargata anche al territorio consentendo di scoprire non solo nuove vaste aree di necropoli, che documentano una popolazione numerosa e attiva in quest'area della Campania antica, con corredi che rivelano una notevole ricchezza prima e dopo la romanizzazione, ma anche resti di ville tardo repubblicane destinate alla produzione dell'olio e soprattutto del vino, in gran parte localizzate in posizione collinare e pedemontana, lungo la zona occidentale di Teano, Carinola e il Massico.
Da segnalare, inoltre, un importante insediamento per la produzione di anfore vinarie, inizi I a.C. e inizi I d.C., rinvenuto lungo il fiume Garigliano, l'antico Liris, nel comune di Rocca d'Evandro in località Porto. Le anfore vinarie venivano poi caricate su barche e trasportate in direzione della costa.
L'esistenza di una fitta rete stradale d'età romana, già in parte presente in epoca più antica, talvolta ancora perfettamente conservata, consentiva un capillare collegamento tra le città principali e i molteplici insediamenti diffusi nell'area, anche per quelli posti all'interno e in altura e, inoltre, costituiva uno degli strumenti più efficaci per il processo di controllo del territorio da parte di Roma. Ricordo, a tale proposito, l'asse Minturnum – Suessa – Teanum, che collegava l'Appia alla via Latina e che ha come espressione più monumentale nel Ponte Ronaco a Sessa Aurunca. Una serie di vie interne collegavano Teanum e Suessa con l'interno e in modo particolare con il Roccamonfina, ove erano localizzate le cave per l'estrazione del tufo, della trachite, leucite e del basalto. Inoltre, esse servivano per il trasporto dei prodotti agricoli provenienti dalle aree rurali e diretti verso le città della zona. Altre strade si dirigevano verso l'ager Falernus, in direzione della colonia romana di Sinuessa, verso Allifae e infine la via Latina, che attraversava Teanum, la più grande città posta lungo il suo percorso da Roma a Capua, verso Cales.
L'azione incisiva della Soprintendenza ha consentito, come già accennato, di condurre scavi su grandi complessi monumentali: il Teatro Tempio di Teano della fine del II a.C., fondamentale per le sue implicazioni storiche architettoniche e in modo particolare per la genesi del Teatro Romano; quello, di Sessa Aurunca, edificato in età augustea, bellissimo per la sua posizione scenografica nei confronti della città antica. Entrambi i monumenti, costituiscono per complessità degli impianti architettonici, dimensioni, ricchezza e bellezza degli apparati decorativi e scultorei, tra gli esempi più notevoli dell'intera Italia antica.
L'eccezionale monumentalità di questi complessi, congiuntamente ad altri grandi edifici pubblici della zona, quali anfiteatri, impianti termali, templi, sono il segno tangibile della prosperità raggiunta da queste città in epoca romana. Una ricchezza che trova il suo culmine in età medio imperiale, nelle città di Teanum e Suessa, col rifacimento dei loro teatri su scala monumentale e in modo particolare per la riedificazione degli edifici scenici in cui vennero utilizzati marmi preziosi, lavorati e scolpiti da maestranze altamente specializzate e qualificate.
La continuità e una certa prosperità di vita dell'area è attestata, almeno nei centri più grandi, ancora in età tardo imperiale attraverso epigrafi e espressioni artistiche di un certo rilievo, come è possibile documentare, in un mosaico policromo, scoperto a Teano agli inizi del Novecento, che raffigura la scena dell'adorazione dei Magi databile al IV secolo. Il mosaico decorava il fondo di una tomba della gens Geminia, posta lungo la via che da Teano conduceva ad Allifae. La forte crisi economica che coinvolse la Campania nelle successive fasi tardo antiche e alto medievali, con l'alternarsi delle devastazioni provocate dalle continue invasioni, ad iniziare dal V fino all'XI secolo, che abbinate ad eventi distruttivi di origine naturale determinarono l'abbandono o il drastico ridimensionamento delle città di fondazione romana. Le campagne si spopolarono e la maggior parte della popolazione cercò rifugio in altura creando insediamenti a carattere sparso. Laddove ci fu continuità di vita, come a Teano e Sessa, si verificò il riutilizzo massiccio dei materiali antichi per restaurare le mura urbiche, ma anche per edificare nuove opere di natura difensiva, chiese e complessi monastici e talvolta il riuso degli stessi edifici antichi sia privati che pubblici, con lo scopo di adattarli a nuove necessità di vita. In modo particolare alcuni grandi complessi architettonici, come i teatri, furono usati come vere e proprie cave di materiali impiegati nei grandi cantieri voluti dai benedettini per la costruzione delle loro abazie e chiese. La continuità della vita in alcune città d'origine romana è dimostrata, oltretutto, in alcuni documenti benedettini del X secolo, ove emerge un uso frammentario delle aree urbane con una precisa distinzione tra i settori della città vecchia e quelli in uso durante l'alto medioevo e la loro concentrazione intorno a luoghi di culto e a edifici fortificati.
Teano è forse il centro in cui rimangono tuttora notevoli testimonianze sia d'età tardo antica, come nella chiesa di S. Pietro in Aquariis del V secolo, e sia d'età longobarda per quanto riguarda alcuni tratti delle mura del Castellum, edificato lungo le mura dell'acropoli sidicina, databili, probabilmente, intorno al X secolo. Nella stessa città vennero fondati dai conti longobardi e dai benedettini numerose chiese e monasteri, tra cui si ricordano: San Benedetto, a tre navate con colonne e capitelli di spoglio, datata al IX secolo; S. Maria De Intus, S. Maria De Foris e S. Michele tutte datate al X secolo. Tali edifici tuttora esistenti, versano in precarie condizioni di conservazione.
Tra i monumenti più significativi d'età longobarda, della Campania settentrionale, è la Torre a Mare, edificata tra il 961 e il 981 sulla riva sinistra del Garigliano da Pandolfo I Capodiferro, a ricordo della vittoria della coalizione cristiana contro i Saraceni avvenuta nel 915. L'edificio s'ergeva per una altezza di circa 30 metri a guardia della foce del Garigliano e del confine settentrionale fra le terre dei beneventani e quelle dei Duchi di Gaeta. L'edificio poggiava su una base a pianta quadrangolare che misurava 15 metri di lato, per la costruzione dei paramenti furono impiegati grandi blocchi di calcare e marmo provenienti dalle rovine della Minturno romana. La torre, restaurata da Gino Chierici nel 1932 accolse il museo della civiltà Aurunca. Nell'inverno tra il 1943 e il 1944 essa fu minata dalle truppe tedesche e allo stato attuale i cospicui resti del crollo versano in uno stato deplorevole d'abbandono, completamente nascosti da una fitta boscaglia. L'area potrebbe essere oggetto di un progetto di recupero e di scavo archeologico, che consentirebbe di valorizzarla al meglio anche sotto il profilo ambientale in quanto già parte integrante dell'area protetta posta lungo la foce del fiume Garigliano. In questo modo, la Torre di Pandolfo sarebbe una delle porte d'accesso al Parco Regionale di Roccamonfina, svolgendo il ruolo di snodo per itinerari di visita lungo il fiume e in direzione dell'area archeologica di Minturno e verso l'entroterra tra il basso Lazio e la Campania.

(Fine prima parte)

Alfredo Balasco
(da Il Sidicino - Anno X 2013 - n. 1 Gennaio)