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Indice Carmen Autieri
 
 
Teano - Le forme di insediamento territoriale e lo
sfruttamento delle risorse nella fase comitale (I parte)
 
Una delle torri quadrangolari del castello (foto archivio Mastrati Pietro)
 

La Teano comitale acquista e definisce la sua connotazione territoriale ed urbanistica designandosi come centro di un vasto territorio prospero e redditizio, alla fine del X sec.
Questo dato ci viene suffragato da ciò che si ricava dall'attenta lettura del chirografo di S. Maria de Foris comparato al Chronicon Vulturnense e alle pergamene capuane d'età longobarda.
Osservando la “Longobardia Minor” sulle Carte dell'utilizzazione del suolo d' Italia (15-19, TCI, Milano 1956-60), sembra chiaro che a sud-ovest della piana del Volturno, l'area legata alla contea di Teano, in età medievale, fosse ricca di alture, monti e corsi d'acqua ed inoltre la più produttiva rispetto alle rimanenti aree più povere ed improduttive dal punto di vista agricolo.
Il territorio era diviso in “pertinencie” satellitari, ognuna specializzata in un prodotto dell'artigianato, dell'agricoltura e dell'allevamento mentre i termini “vicus, casa o locu”, designavano la più antica denominazione dei centri abitati del territorio.
Il chirografo di S. Maria, redatto nella cancelleria teanese, nel mese di ottobre del 987, è ricco di tali denominazioni che non solo indicano i beni in dotazione al Convento, ma chiariscono la complessa organizzazione del territorio.
Infatti vi si legge e si riporta solo qualche esempio, trattandosi di confini, di una “terra de homines de Casa Ioanni, Perti de Tianu”, di un ”vicu de Cornelianu “o “homines de Curnelianu “, di un “locu de Velieri , in quo ecclesia S. Petri costructa est”, degli ”homines de Casa …in finibus Bairanu”, di un” locu Vairanello”, di un “ loco pastena in qua ecclesia nostra vocabolo S. Maria costrutta est (ai confini con Calvi), di una ”curte nostra de loco Franculisi”.
Il patrimonio comitale teanese donava anche poderi a limite del principato capuano citandoli come “homines de Arezanii” e “ homines de Sarczanu”.
Il termine sarczanu è da riportarsi ad altri termini topografici presenti in pergamene del 1159 in cui si cita in locu Sarzanella, ad Sarczam indicando un fagianeria o un vasto podere o un terreno di prima qualità. (A. Gentile, Contributo alla storia della linguistica, in G. Bova, Civiltà di Terra di Lavoro, Pag. 86).
Piccoli nuclei abitativi si vennero ad addensarsi intorno a pievi o chiese di campagna, a volte di pertinenza diretta del Conte, come si legge poco sopra.
Il documento menziona: Ecclesia S. Angeli, Ecclesia S. Castrensi, Ecclesia S. S. Angioli e Nazari, Ecclesia S. S. Potiti e Nicolai, Ecclesia S. Petri, Ecclesia S. Mattei Apostoli, Ecclesia S. Casti, Ecclesia S. Matia “costructa est sub ipsu Monte qui dicitur Morrone in finibus Bairanu”, Ecclesia S. Maria…”simulque ecclesia nostra que ibi costrutta est vocabolo S. Agapiti juste fines de locu Mineanu”.
La formazione di questi demi sono strettamente connessi ai problemi legati alla cultura agricola che acuiscono il fenomeno dell'incastellamento (X sec.) e della signoria fondiaria.
Ad una più intensa messa a coltura dei territori soggetti alla contea teanese vi era connessa una politica demografica che tentava di attirare coloni sui nuovi terreni.
Queste politica agraria e demografica fu portata avanti non solo da grandi abbazie imperiali, ma anche da grandi latifondisti laici come, per esempio, i Conti di Teano, nel momento in cui questi, proprietari di curtes assunsero su di loro il potere fiscale, quello militare e giudiziario.
Molte sono, infatti le corti  o curtes (tenute agricole) citate dalla fonte documentaristica, date alla conduzione di “conductores”, servi liberati o forestieri che avevano l'obbligo di coltivare il suolo versando al signore censi e corvée.
Se ne dà testimonianza riportando alcune testimonianze: “curte et Turris qui fuit Guiselgardi Gastaldi, “Terram Cirini liberti nostri,filii amici Iumentari”, “Terra quam ego Atenolfi Comiti datam abeo Ioanni Ferrarii”, “de terzia parte terra que fuit quondam Bassi et de Consorte eius “, “alia parte terra Martini de Varvolano”.
Seguono citazioni di “petia” di terra, di “presa” di terra e non manca un mulino “nostru quem abemus justa fines de ipsa curte nostra de S. Stefanu de finibus Alifana quot fuit Paparos filii Baresi“.
Da quanto detto si desume che le aree insediate si presentavano fortificate (Torre) ed in mano a proprietari privati ai quali era concesso il permesso, quasi un'imposizione, di popolare il territorio, coltivandolo.
La presenza di liberti che presero parte ad iniziative di popolamento come fittavoli liberio stranieri è data dall'esigenza legate a nuove forme di coltura che richiedevano una maggiore mobilità.
Interessante all'uopo è riprendere l'artigiano Paparos che gestiva il mulino, un greco-bizantino che si stabilì in territorio longobardo a seguito della forte pressione fiscale bizantina nel suo territorio d'origine, forse Bari (visto che viene detto figlio del Barese. (Codex dipl. Cavensis, II, n.382, n.384; III n. 5521) e che designa una minoranza appunto di forestieri a cui vengono affidate specifiche competenze. (Vera Von Folkenhausen, I Longobardi Meridionali, in Il Mezzogiorno dai Bizantini a Federico II, UTET, Torino 1983).
Nell'economia del discorso è necessario definire ed approfondire aspetti ancora legati alla prevalenza di un 'economia agricola e comunque citati dall'atto longobardo.
Poco sopra si menzionavano “pecie di terra” o terre coltivate, come anche “presa terranea” ossia un appezzamento di terreno, un orto o da usare come suolo per costruirvi piccole abitazioni o indicare appezzamenti di piccole entità da dare in enfiteusi. (G. Bova, Civiltà, pag. 85).
Anche i prati vengono citati e fuori le mura della città di Teano, contigui alla grancia di S. Maria ad Pratum o anche “decem modii de terra in ipsu pratu nostru de S. Faustina” o “ prata qaue abemus in Petramellara “.
I prati erano vaste zone della signoria utilizzate per il pascolo degli animali ed anche per l'allevamento in particolare dei maiali e delle pecore.
Poiché era in uso il sistema della rotazione biennale spesso una zona destinata a prato un anno, veniva coltivata l'anno successivo.
Regolarmente erano coltivati a cereali inferiori: orzo e segala. (A prati presenti in Campania all'arrivo dei primi Normanni sembrerebbe accennare Guglielmo di Puglia, Gesta, 1 I, vv 123-125).
Tali colture coincidono con aree collinari attorno a centri abitati a testimonianza di problematiche relative alla necessità di sussistenza più che alla fertilità dei suoli.
Ambiente naturale, paesaggio agrario, fattori antropici mettono in evidenza, per questo periodo del Medioevo, i rapporti tra colonizzazione agricola e natura del suolo, o meglio, i rapporti tra uomo e terra e tra uomo e società.(L. Gambi, I valori storici dei quadri ambientali, in St. d'Italia, Einaudi, I, Torino 1972); C. Klapisch Zuben, Villaggi abbandonati ed emigrazioni interne, in St. d' Italia, Einaudi, V, I).
La cultura cerealicola è legata alla produzione del grano testimoniato non solo dal mulino di Papero, ma anche da altri mulini, riportati sempre nel chirografo e da toponimi.
Infatti si riscontra “in loco Faucianu“, ”unum molinu nostru …et duo molina in aqua que dicitur Sextu”, ”molina Monacisca”.
L' uso del mulino non era gratuito, il signore esigeva un tributo per lo più in natura e lo sviluppo delle tecniche di potenziamento idraulico, consentì alla fine del X sec. la diffusione di mulini idraulici “ed il loro impiego quale motore primo per altre macchine”. ( M. Bloch, Lavoro e tecnica nel Medioevo, Bari,1973: G. Bova, La vita quotidiana a Capua al tempo delle Crociate, ed. Scientifica Italiana. 2001 pagg. 72-73).
Infatti il mulino veniva utilizzato per diverse attività, quindi non solo per macinare i cereali ma anche per compattare e battere canapa da cui produrre stoffe grazie all'utilizzo di grandi martelli.
Inoltre i documenti longobardi distinguono i mulini con un nome identificativo o del sito o del molandinaro che vi esercitava la sua attività.
Inoltre, sempre nel documento in esame, vi si riscontrano termini legati alla produzione del pane nella città stessa.
Vi si legge “in ipsa Cibitate vetere supra dicitur de Angelperti qui fuit de Gualpertu Presbiterum, ubi supra nomen dicitur Pristinaru ….”; oppure “da quarta parte fini trascenda nostra que pergit ad ipsu pristinu nostru” ad indicare un forno legato alle sole esigenze del signore.
Infatti i forni non erano una struttura domestica, ma serviva ad un'intera comunità cittadina o anche rurale.
Il proprietario lo metteva a disposizione di chi ne avesse bisogno.
Inoltre nel Burgus vi è attestato un “quadrapane” ossia un tagliatore di pane legato alle mansioni di dispensiere per i poveri che facevano capo alla chiesa di S. Nazzaro.
La diffusione nella città di sostantivi come fornaio o quadrapane attestano come il pane fosse un elemento necessario ed estremamente documentato.
Importante è sottolineare che le attività legate ai forni sono quasi sempre documentate nelle vicinanze delle chiese (S. Nazzaro) o della sede comitale (pristinu nostru).
Ma si potrebbe ipotizzare anche un luogo esterno e poco distante dalla città di Teano in cui sarebbero potuti essere più forni, avendo a disposizione il materiale combustibile, come evidenzierebbe la nomenclatura topografica legata al contado teanese considerando la località Furnolo.
Quanto detto può essere parallelato a quanto viene attestato da un documento capuano dove, nel parlar di forni, viene detto “in loco ubi dicitur ad Furnulum” fuori porta S.Angelo. ( G. Bova, op cit. 2001, pag.37).

(fine I parte)

Carmen Autieri
(da il Sidicino - Anno XIV 2017 - n. 2 - Febbraio)

La cascata di “Pretaliscia”, che il fiume Savone forma dopo il ponte degli Svizzeri
(foto di Mimmo Feola)
 
Il mulino in località Boccaladroni nei pressi del borgo di Furnolo
 
Foto di Sergio Cirelli