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San Benedetto, chiesa palatina
 

Prima di parlare della chiesa vera e propria di S. Benedetto, sita nell’omonimo vicoletto, ad occidente, nella città di Teano dobbiamo supporre che un primo nucleo benedettino fosse già attivo    nel territorio teanese, in età tardo-antica, per volere di Simplicio, terzo abate di Montecassino (560-576). Secondo il cronista Erchemperto, in quel periodo si eresse una chiesa (forse ubicata là dove, in località Trinità, vi era una casa colonica denominata S. Scolastica) o meglio una cella che fu distrutta dai longobardi nel 593 allorquando Arechi I attaccò la città bassa di Teano.Tenendo conto che nel 555, sotto Domnino, a Teano venne soppressa la cattedra episcopale, si può facilmente credere come intorno a questo primo nucleo benedettino venne formandosi una comunità laica bisognosa di conforto spirituale non solo, ma che, aggregandosi, usufruì di una politica di continuità della tradizione romana che sarebbe andata, altrimenti, dispersa.
La notizia più antica dell’esistenza di una chiesa o di un cenobio intra-moenia, intitolata a S. Benedetto è dell’ 804. Prima di questa data non sono menzionati privilegi o rogiti elargiti al complesso monastico teanese. Ciò detto è confermato dalla lettura dei privilegi di papa Zaccaria in cui si elencano gli antichi e nuovi beni di S.Benedetto, affidati e riorganizzati da Petronace, abate dal 717 al 750.
La presenza della comunità religiosa benedettina teanese, diversa per natura ed esigenza dall’ insediamento militare e legislativo del gastaldo longobardo, acquistò forza e spessore tanto rivelanti che, nell’857, restaurata l’antica diocesi di Teano, si ebbe come vescovo, Ilario (860), abate della suddetta comunità. Questi regolò nello stesso tempo, la vita del monastero e la realtà spirituale della città.Ciò fu possibile grazie a quell’atteggiamento tollerante nei confronti della chiesa che i longobardi ebbero nella prima metà del IX sec per fondamentali e peculiari accadimenti storici.
Avendo posto due termini temporali, 804e860, possiamo asserire che il complesso monastico benedettino sorse nella prima metà del IX secolo. Fu costruito prospiciente la via Latina, nei pressi della porta Superiore o Silice, oggi porta Roma. Per questa sua dislocazione, il complesso monastico benedettino oltre ad espletare funzioni religiose, aveva il compito di vigilare sui punti d’accesso all’ Area di Corte (piazza Vittoria, piazza Umberto). Infatti, nella società longobarda anche i religiosi salvo particolari privilegi, avevano l’obbligo di vigilanza civica. Secondo Erchemperto (che qui studio diventando monaco e cronista) e Paolo Diacono, l’abate Agelasio dopo la distruzione di Montecassino ad opera dei saraceni (4-IX-883), trasferì nella casa benedettina di Teano, la “schola cenobitica “, la regola manoscritta che, ivi, purtroppo, nell’891, andò distrutta nell’ incendio della chiesa annessa al monastero. Era abate Ragemprando (890-899). Di questo incendio ne parla Leone Ostiense nei capitoli 46 e 47 della sua “ Cronaca Antica” dicendo che non solo la regola andò distrutta, ma anche garanzie atti di donazioni e i sacchi con i quali, per volere di Dio, dal cielo erano stati portati i pani al beato Benedetto.Durante il periodo di ripristino del monastero e della chiesa, i monaci furono ospitati nell’episcopio e, come si evince dalla lettura della “Visitatio Ecclesiae Cathedralis…” anno M.D.C.C.LIII vi rimasero fino al 908, data che segnerebbe il rientro al complesso ormai riparato dai danni dell’incendio. I monaci vi rimasero ad esercitare la loro opera meritoria ancora per 23 anni cioè fino al 921 quando furono assorbiti dal monastero capuano, attratti dalla politica economica del Principe di Capua, Landolfo I, figlio d’Atenolfo.
Il periodo storico è dei più rilevanti per decretare lo sviluppo culturale che ha contribuito all’ampliamento del gusto artistico soprattutto nell’entroterra campano (Terra Laboris). Atenolfo e Landolfo si impadronirono di Benevento mentre Landolfo estese il suo dominio sui ducati di Napoli, Gaeta ed Amalfi, stabilendo una fitta rete di relazioni tra le aree costiere e quelle interne.
Ciò detto è peculiare se consideriamo la struttura architettonica della chiesa di San Benedetto. E’ preromanica, contraddistinta da un impianto a tre navate, divisa da colonne e da altrettante absidi di cui la centrale più ampia delle laterali.
I muri perimetrali si conservano fino alla quota di imposta delle incavallature lignee, mentre i catini absidali, integri, all’esterno presentano decorazioni laterizio.
Questa tipologia architettonica trova nell’Italia meridionale ampia diffusione proprio a partire dall’età carolingia ed ottoniana e successivamente ripresa e sviluppata nel modello cassinese con chiara ispirazione ad edifici paleocristiane costantiniani, in parte mediati da esempi carolingi.
La pianta basilicale a tre navate, con transetto continuo o meno a tre absidi, costituì la proporzione del modello che, a sua volta, avrà lunga diffusione nel meridione.La ripresa della pianta paleocristiana in Campania e a Montecassino, deriverebbe dalla basilica del Crocifisso ad Amalfi. Numerosi esempi si ritrovano nella zona costiera e nelle zone interne della Campania verso Capua (Chiesa dei SS.Rufo e Carponio, San Pietro ad Montes a Caserta vecchia e San Benedetto a Teano).
L’esperienza di questa tipologia architettonica nelle aree costiere ed interne, farebbe ipotizzare la presenza di artefici locali ed itineranti che dalla costiera Amalfitana, lungo l’asse di dislocazione interna, che partiva da Maiori attraversava la valle di Tramonti e il valico di Chiunzi,  giungeva nella valle del Sarno, strada che consentiva, agevolmente, l’accesso verso Nola e la Terra Laboris. Pertanto la chiesa di San Benedetto attesta lo svolgimento di un’architettura ben caratterizzata , propagandata dall’ordine benedettino ( Gisulfo 787-817 prima e Desiderio poi), fondata sulla tradizione tardo romana e paleocristiana, rielaborata in soluzioni nuove che si avvalgono, per la decorazione, di materiale di spolio. La chiesa risulta edificata su un antico tempio dedicato a Cerere. Ne sono testimonianza un’epigrafe di una sacerdotessa legata a questo culto, seppellita nella città con l’autorizzazione del Senato locale, lastre di marmo recuperate nello spazio antistante la chiesa negli anni ’50 nonché le colonne e i capitelli corinzi che abbelliscono gli interni.
E’ molto probabile che la realtà architettonica  di  S. Benedetto  nell’alto medioevo, costituisse, per la sua unicità e importanza strategica la chiesa palatina. Questa condizione è suffragata dal fatto che la chiesa ha la facciata rivolta  ad Est ed è noto che le chiese longobarde palatine o Cappelle a Corte presentassero frequentemente quest’orientamento. Ma se anche ciò mancasse,la  chiesa di S.Benedetto è in perfetto asse con il Sacro Palazzo , nel nostro caso, il Castello. Ciò che è stato detto è in sintonia con altre realtà storico architettoniche riscontrabili nelle città di Capua Benevento e Salerno di chiara memoria longobarda .Un’ altra notizia che  può fugare i dubbi ci viene riportata  sia da Erchemperto (cap. 48) sia dall’Anonimo Salernitano a proposito di Guairerio , principe di Salerno. Questi, nell’ 880, sentendosi prossimo alla morte volle recarsi a Montecassino. Ma molto malato, dovette fermarsi a Teano dove, a morte avvenuta, venne seppellito nella chiesa del Castello, dedicata a S. Benedetto. Quindi tre certezze hanno sostenuto il mio studio tanto da farmi asserire che S. Benedetto è chiesa palatina o Cappella a Corte come anche S. Agostino e l’ormai perduto sacello di S. Giovanni piccolo. In seguito il monastero ha avuto una lunga storia. Basta leggere documenti, placiti o giudicati che vanno dal 951 fino al 1531 per capire come doveva essere attiva la vita monastica.
Nel principio del ‘500 il nostro cenobio pare sia, nuovamente, passato alle dipendenze  di S. Benedetto a Capua. Nella S. V. del 1605 si conserva un elogio alla Confraternita della Purificazione esistente in questa chiesa, la quale fu restaurata dal Card. Perrellio, nel 1750 spendendo 150 ducati. Nel 1805, per volontà di Giuseppe Bonaparte si decretava la fine di questa antica istituzione benedettina. Nel 1876 gli eredi del Can. Pompeo D’Andrea, con dispendiosa causa, riuscirono a rivendicare i beni di un beneficio e con il consenso della S. Sede, impiegarono la quota loro spettante nei restauri della chiesa.
Trovandomi, oggi, dinanzi a questo monumento, chiuso, desolante, ricco di così tanta storia non posso dire altro che “ SUCCISA VIRESCIT”.

Carmen Autieri
(da il Sidicino - Anno I 2004 - n. 4 - Aprile)