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Elena è innocente?

 

Parliamo, ovviamente, di “Elena di Troia” che per aver abbandonato il marito e la figlioletta, incantata dal bel principe troiano Paride/Alessandro, tanti lutti “addusse” agli Achei ed alle popolazioni della ricchissima Lidia con la distruzione della stessa città di Troia, la più bella e potente città di quel tempo. Questo il “casus belli” che apprendiamo dai racconti che ci trasmette Omero e che trattano appunto di quella infinita guerra fra i popoli costieri dell'Anatolia e i Greci, ma anche dello stesso drammatico ritorno a casa di questi ultimi dopo la vittoria. Un insieme di racconti epici che uniscono la realtà col mito e che rappresentano l'incipit da cui, possiamo ben dire, prenderà le mosse la cultura Occidentale. Certo se tale guerra ci fu, come ci fu, fra i Greci ed i Troiani le ragioni dovettero essere ben altre, e vanno soprattutto ricercate nelle conquiste, da parte di popoli emergenti, di nuovi e più ricchi territori per l'uso di approdi commerciali.
Ma torniamo alla nostra Elena, donna che ebbe bellezza di una dea, nata da un capriccio di Zeus per una bella mortale di nome Leda, il re degli dei andava pazzo per queste scappatelle, escogitava ogni artificio per mandare a buon fine le sue tresche, fino a trasformarsi in un cigno o in un toro o nel vento, pur di sfuggire alla gelosa consorte Giunone e potersi congiungere alla prescelta mortale di turno.
A Elena s'interessò prestissimo la travolgente Afrodite dea dell'amore, già da quando, ancora fanciulla, l'ammirava raccogliere conchiglie in riva al mare e “le chiome color dell'aurora le ombravano lieve e gli omeri e le spalle e i primi raggi del sole gareggiavano ad illuminarle il petto e il viso”, già da allora la dea pensò a lei come pegno di scambio.
Infatti successe che un giorno Zeus stanco delle continue lamentele di alcune divinità dell'Olimpo: Atena, Era ed Afrodite, per chi dovesse detenere lo scettro della più bella, pensò di organizzare un concorso di bellezza sul monte Ida. Qui pascolava il suo gregge un bellissimo pastore, Paride/Alessandro, ancora ignaro di essere un principe troiano; Zeus, che voleva evitare a tutti i costi di impegolarsi nella questione, affiderà proprio al troiano la “rogna” di decretare la più bella fra le dee. Quando il concorso si tenne, ovviamente, ogni divinità cercò d'ingraziarsi il giudizio del giovane con ambitissimi doni e promesse, Afrodite promise al bel pastore la donna più bella e desiderata che abitasse la terra, il giovane non ci pensò sopra neanche una volta.
In seguito Elena andò in sposa a Menelao re di Sparta e fu lì che incontrò il bel principe troiano che era in ambasceria, e fu lì che Afrodite sciolse il suo debito. Da subito Paride la incantò, entrò nel suo cuore per non uscirne mai più, così ella abbandonò ogni cosa e lo seguì a Troia.
Da quasi tremila anni, dall'uomo della strada ai filosofi, dai letterati ai poeti hanno argomentato condanne ed assoluzioni per il suo gesto causa di tanta tragedia. Ed ognuno si è chiesto: se si fosse fermata un attimo a riflettere avrebbe potuto determinarsi a non seguire il troiano e modificare così il filo degli accadimenti? A questo punto come avrete già intuito ci si va ad infilare dritti dritti in quell'accidentato terreno che ci fa imbattere nel fato/destino e libero arbitrio.
Gorgia da Lentini filosofo greco, nel V sec. a. C. tessé quasi una apologia per la nostra eroina discolpandola da ogni addebito. La filippica di Gorgia è lunga ed articolata, come si può presupporre dalla dialettica messa in campo da uno dei maggiori sofisti del tempo. Molto in sintesi, lui dice: poiché la provvidenza divina non si può con provvidenza umana impedire e la divinità supera l'uomo e in forza e in saggezza e nel resto, se dunque al caso ed alla divinità va attribuita la colpa, che s'incolpi la divinità e si liberi Elena dalla colpa.
In definitiva, Gorgia: “Se dunque lo sguardo di Elena, dilettato dalla figura di Alessandro, inspirò all'anima fervore e zelo d'amore, qual meraviglia? Il quale amore, se, in quanto dio, ha degli dei la divina potenza, come un essere inferiore potrebbe respingerlo, o resistergli?”
Bisogna però notare che questo determinismo divino già in età arcaica tenta i suoi momenti di riflessione, ponendosi in una zona di frontiera fra umano e divino, se ne trova un accorato esempio proprio in Elena. Quando ella vede dall'alto delle mura di Troia, nella pianura sottostante il campo di battaglia, è presa dall'ansia per il suo amore in pericolo, ma anche nel vedere le schiere dei tanti eroi sia Argivi che Teucri, molti dei quali destinati a morire in combattimento, e viene colta da profondo dolore, piange e rivolta a Priamo esclama. “Oh se mi fosse piaciuta morte crudele, quando qui/il figlio tuo seguii, lasciando talamo e amici/ e la figlioletta tenera, e le compagne amabili. … sono una cagna odiosa, come vorrei che il giorno in cui/mia madre mi diede alla luce, una tempesta di vento mi avesse portato/lontano sulla cima di una montagna o fra le onde del mare sonoro/e le onde mi avessero portata via prima che tutto questo accadesse.”
Mentre tutti gli sguardi dei saggi denotano rimprovero nei confronti di Elena e a bassa voce l'un l'altro dicono parole fugaci: “Non è vergogna che i Teucri e gli Achei dai robusti schinieri per una donna simile soffrano a lungo dolori/: terribilmente, a vederla somiglia alle dee immortali! Ma pur così, pur essendo sì bella, vada via sulle navi,/ non ce la lascino qui, danno per noi e per i figli anche dopo!”. Priamo non si unisce al coro dei rimproveri anzi la invita a sedersi accanto a lui e la consola: “Non tu sei colpevole davanti a me, gli dei son colpevoli;/essi mi hanno messo contro la triste guerra dei greci.” Ma poi lei al solo apparire della prima e più lucente stella della sera (Vespero), in preda a un desiderio insopprimibile, raggiunge il talamo dell'amato Principe, mentre Afrodite compiaciuta sorride. Tutta la letteratura greca (e non solo) è percorsa da questo duplice giudizio su Elena: adultera e cagna, come lei stessa si definisce, o vittima della divinità.
Più tardi S. Tommaso resosi conto che questo concetto fatalistico dell'agire umano aleggiava (e aleggia ancora) non poco fra i dogmi della Chiesa e in tutti i fedeli, comprese che su questa strada gli esseri umani, in linea di massima, non sarebbero stati meritevoli di biasimo per le cattive azioni che avrebbero commesso, né, per la stessa ragione, di lode per quelle buone; proprio perché non erano dotati di un libero arbitrio, ovvero della libertà di scelta. Così affermò che l'uomo, contrariamente agli animali contraddistinti soltanto dall'istinto, ha la facoltà di scegliere la propria strada.
Noi crediamo che il libero arbitrio faccia parte dell'uomo e che egli può, in generale e a secondo dei casi, avere consapevolezza delle proprie scelte e dunque non dipendere da alcuna predestinazione. Ma per quanto riguarda la Chiesa non possiamo tacere che essa abbia faticato molto e tuttora fatichi a conciliare, libero arbitrio e onniscienza di Dio. Nel senso che appare un po' una forzatura predicare che su questa terra ogni uomo ha la libertà di intraprendere la propria via nel bene e nel male, salvo poi a dire che qualcuno conosce già da prima che ogni essere vivente nascesse la via che avrebbe intrapreso sia nel bene che nel male.
Ma torniamo alla nostra cara eroina ed al dilemma se ella fu colpevole o innocente per aver abbandonato la sua famiglia e per quanto ne conseguì.
Se crediamo ch'ella abbia potuto consapevolmente scegliere, allora dovremmo poter dire che Elena è colpevole e lo diremmo in base a dei valori precostituiti di un vivere comune da tutti accettato, dove Elena seppur adorata regina non era altro che una donna oggetto a totale disposizione del suo sposo Menalao e libera di muoversi soltanto nei luoghi a lei permessi, mentre lui, il re, alla luce del giorno, poteva compiacersi di avere tutte le concubine che desiderava.
Forse, oggi, alla luce di un femminismo che cerca di conquistare i propri spazi, seppure a fatica, fra atteggiamenti misogini sempre latenti, potremmo legittimamente ribaltare la questione e dire: Menelao è innocente o colpevole? Innocente o colpevole di non aver lasciato andare per la sua strada l'adultera ed averla anzi riportata a casa contro la sua volontà? e di avere per questo scatenato quell'immane ecatombe umana? Euripide in una delle sue opere mette in bocca al rozzo Polifemo, rivolto a Ulisse, queste parole: “Spedizione vergognosa, essersi spinti fino alla terra dei Frigi per le grazie di una sola donna …”. Da questa diversa ma pari prospettiva di vedere le cose condanneremmo ancora Elena? per avere scelto la sua strada?
Se poi addebitiamo ad Afrodite, cui nessuno può opporsi neanche gli dei stessi, di aver spinto Elena nelle braccia di Paride allora noi dovremmo assolvere la giovane regina, e dare così la colpa alla dolce dea dell'amore che tutto può. Messe le cose in questi termini, comunque la si giri e la si volti, diventa (non si sfugge) uno scarica barile fra il divino e l'umano, fra il libero arbitrio e la predestinazione. Ma se pensiamo che l'amore possa sfuggire sia al divino che all'uomo stesso e ad ogni concetto che cerchi d'ingabbiarlo, per diventare null'altro che un'entità necessaria perché generatrice di tutta la vita sulla terra; allora potremmo forse comprendere, oltre che restarne incantati, le parole che come petali di fiori escono dalla bocca di Elena al primo incontro con Paride: “Stammi dinanzi, o caro; distendi la grazia che è nel tuo sguardo dentro di me. … un fuoco si apprese al loro cuore, e lasciarono cadere le ali.”
Ineguagliabile metafora quella delle ali che cadono: un atto di resa senza condizioni, un abbandono totale al reciproco compiacimento.

Carlo Antuono
(da Il Sidicino - Anno XVII 2020 - n. 3 Maggio )

Antonio Canova, Elena di Troia, Possagno, Bassano (Venezia)