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Il Podere di Luigi Tansillo adottato nelle scuole

ai primi del '900
 

Più che in altre parti d'Italia Luigi Tansillo, poeta (ed armigero suo malgrado), è conosciuto in Nola per esservi nato (Venosa 1510) ed in Teano per avervi preso moglie e per avervi finito i propri giorni nel dicembre del 1568.
Quasi tutti i nostri scrittori locali, in più occasioni, ne hanno scritto e tessuto le lodi, perciò non è nostra intenzione ricalcare qui quanto è stato già detto e ridetto. Ma non possiamo tacere la nostra curiosità quando, avuto per le mani i capitoli del Podere, scopriamo che essi furono oggetto di studio presso le scuole nei primi del '900, con tanto di note, commenti e presentazione per alunni e docenti da parte di insigni critici del tempo: “A presentare alle scuole d'Italia questi tre capitoli del poeta meridionale varie ragioni mi muovono. Anzi tutto la loro intrinseca bellezza: relativamente brevi come sono, essi dan modo di studiare e ammirare nella sua integrità una delle poesie migliori del nostro Cinquecento, e offrono un saggio completo e bellissimo di ciò che era una delle forme poetiche, il capitolo, allora più in voga e quindi più caratteristiche del tempo. …”
Così scopriamo che il poemetto nulla ha da invidiare alle satire dell'Ariosto. L'uno e l'altro poeta ebbero la vita notoriamente disforme dal desiderio, e se ne consolarono sognando. L'uno sognò un sogno grande e magnifico di donne, cavalieri, armi ed amori, di cortesia e di audaci imprese. L'altro un sogno modesto di vita tranquilla e raccolta tra il lavoro di campi e lo studio di poeti, in una piccola villa nascosta nel verde meraviglioso della Campania, tra il Sebeto, povero d'onde, ricco di fama, e il limpido Sarno: A me ristora, quando ho noia o duolo / Più che cento giardini una campagna / Più che mille cantori un rosignolo.
Invece finì venticinquenne alla corte di Pietro di Toledo, marchese di Villafranca e viceré di Napoli in qualità di continuo, così erano detti i componenti una specie di guardia del corpo del viceré. Essi erano in numero di cinquanta spagnuoli e cinquanta italiani, e alla loro testa avevano un comandante detto Guidone.
Egli servì lo spagnuolo sinceramente e profondamente, così, come in seguito fu affezionato servitore del figlio di don Pietro: Garzia che seguì in parecchie spedizioni marittime contro i corsari maomettani, che infestavano i nostri lidi. E se, in generale, gli fu grave il servizio della corte, particolarmente incresciosa gli fu la vita che era costretto a condurre sulle galee, non solo perché in mare soffriva fisicamente, ma perché l'animo suo ripugnava dalla guerra ed aveva specialmente in orrore le crudeli rappresaglie che i cristiani, a quei tempi, si prendevano sui mori, anche innocenti: Che il Turco nasca turco e il Moro moro / È giusta causa questa / ond'altri ed io dobbiamo incrudelir nel sangue loro?
Immaginiamo come dalle mal sicure galee, dagli spettacoli orrendi cui dovette assistere, e non solo assistere, perché anch'egli era fra gli attori di tali spettacoli, il suo pensiero doveva correre alla vita che la fantasia gli foggiava tranquilla e ridente, ancora una volta, in un angolo verde della Campania. Noi in un'isola era e secca e sola semo ridutti / e col pensier gustiamo il vin di Cimitele e il pan di Nola.
Ma che poteva fare, se non sperare e sognare, e intanto servire? Bisogna / fin che vegna alcun che m'apra l'uscio degli orti esperidi o d'Alcinoo / o chiuda il tempio Giano o lo riapra / far come detta il nome di Continoo. Notare come nel penultimo dei versi citati ci dice come gli fosse egualmente grave il servizio in corte nei periodi di pace, e quello sulle galee nei periodi di guerra.
Così, la campagna ch'egli non poté coltivare, la villa ch'egli non poté godere, scelse e disegnò amorosamente, per il signor Giovan Battista Venere, maggiordomo di Alfonso Piccolomini duca di Amalfi. Tale progetto tramandò a noi nelle belle terzine dei tre capitoli che intitolò Il Podere, le quali gli assicurarono, senza ombra di dubbio, un posto insigne tra i georgici.
Ebbe dunque il Tansillo quella disposizione dell'anima idilliaca tra il male cui era condannato ed il bene cui aspirava con tutte le forze dell'anima sua. Tutto ciò vibra nelle sue poesie, e specialmente nei Capitoli: nel primo capitolo discorrerà del come s'ha da fare la scelta del luogo, nel secondo del modo di riconoscere il buon terreno, nel terzo della costruzione della villa.
La lettura del poemetto, a nostro avviso, è bella ed appassiona, perché pacatamente discorsiva e ricca di mille rustiche curiosità che denotano un'attenta conoscenza sia della materia trattata che dell'animo umano.

Carlo Antuono
(da Il Sidicino - Anno XIII 2016 - n. 11 Novembre)