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Strade di ieri... e di oggi

 
 

Fin da tempi antichissimi la cura delle vie ha rappresentato per gli uomini una primaria esigenza tesa a facilitare i contatti fra di loro, scambiandosi merci, esperienze ed idee. Già presso i Fenici scopriamo
l'arte di misurare le vie e munirle di selci; più tardi i Greci, tra cui soprattutto gli Ateniesi ed i Tebani, cominciarono sistematicamente a lastricare le vie pubbliche. Ma i più grandi costruttori di strade di tutte le epoche rimangono i Romani che con questa loro attività di struene-sternere-selciare, tracciarono miglia e miglia di strade collegando Roma con le più lontane province dell'lmpero. La rete stradale creata dai Romani rimane ancora oggi la più importante articolazione viaria, e spesso soltanto qualche rettifica di curve o di pendii è venuta a modificare l'antico tracciato di molte vie tuttora in uso. Basta citare per tutte le più famose, come l'Appia (la Regina viarum), voluta da Appio Claudio, che da Roma e per Capua arriva fino a Brindisi; la Flaminia, voluta da Caio Flaminio che scavalca l'Appennino e conduce fino a Rimini; la via Latina (l'attuale Casilina) che da Roma porta a Capua. Più volte fu necessario, come attesta Strabone, spianar colline, riempire valli, asciugare paludi ed alzare argini e ponti. La tecnica di costruzione usata, considerati i tempi, appare miracolosa . dopo duemila anni ci sono ancora ponti, muraglioni e tratti lastricati ben conservati che hanno resistito alle ingiurie del tempo ed ai continui saccheggi degli enormi poligoni di selci. È interessante osservare una sezione di strada romana, perché ci dà il senso di quale perizia e cura avessero i Romani nei confronti di queste opere: essi riempivano i tracciati con un fondo di sabbia e ghiaia, sul quale aggiunge-
vano un altro strato di pietrame e calce, quindi di nuovo ghiaia con calce e poi si lastricava; ogni strada per tutta la sua lunghezza era costeggiata da canali e marciapiedi.
In età Repubblicana ogni provincia ebbe dei Tribuni della plebe che attendevano alle cure delle strade; più tardi in età Imperiale per tali incombenze troviamo dei magistrati detti "Quatruonviri viatur o Curatores viarum". Di questi Curarori delle strade ne abbiamo anche notizia dai ritrovamenti di marmi e qualche testimonianza e stata rinvenuta anche nei nostri territori: a Capua su di un marmo troviamo riportato un certo Flavio Menandro “III VIRO CURANDA..." e più vicino a noi nei pressi di Presenzano, nel diciottesimo secolo, fu rinvenuto un marmo che riportava il nome di un certo Vettio Probiano Correttore della via Latina.
Ci si compiace nell'apprendere quale attenzione avessero gli antichi per gli uomini anziani: nello smontare e montare a cavallo, percorrendo le vie, essi potevano servirsi di appositi cippi di pietra che ogni centinaio di metri rasentando i marciapiedi si elevavano al di sopra della carreggiata. Si ricorda, a
tal proposito, che quasi certamente gli antichi Romani non conoscevano l'uso delle staffe (come ognuno sa le staffe sono tenute da corregge che scendono dalla sella e servono per montare a cavallo), infatti Senofonte nella sua opera l'Equitazione, parlando dell'arte equestre non ne fa parola, né il sofista e grammatico Giulio Polluce, nel 2° sec. d. C., che compilò un esatto catalogo degli ornamenti equestri, ne fa menzione; bisogna giungere al 4° secolo d. C. per trovarne traccia nelle epistole di San Girolamo, e più tardi ne parla l'imperatore d'oriente Maurizio che in un suo trattato sull'argomento cita degli arnesi di metallo appesi ai lati della sella in cui il cava liere introduceva e appoggiava i piedi per meglio cavalcare.
Dunque il territorio Sidicino era attraversato dalla via Latina, la più antica di tutte le vie: essa certamente fu frequentata molto prima che venisse lastricata e ridotta a via maestra regolare, e fu chiamata Latina perché metteva in comunicazione Roma col vicino Lazio. Strabone narra che essa era insigne per gli edifici e per le città che attraversava: uscita dalla porta Capena (in Roma), volgeva verso i monti Tuscolani ed Albani, per Frosinone, Aquino e Cassino, proseguiva per Mignano, Teano e Calvi, continuando per Casilino (Capua attuale), posta sul Volturno a diciannove stadi, cioè a poco più di tre chilometri e mezzo dall'antica Capua, detta oggi S. Maria Capua Vetere.
Meraviglia non poco come la via Latina all'altezza di Marzano Appio, invece di seguire un percorso più agevole e lineare per Vairano Scalo verso Torricelle, iniziasse una forzata curvatura, con l'onere di risalire colli e attraversare ruscelli, verso Caianello, Borgonuovo ed entrare così in Teano per la porta di Marzo ed uscirne, per la porta della Rua, verso il passo di Torricelle, Così l'antìca via già trafficata nel 7° secolo a. C. fu certo guidata verso il colle ove già doveva sorgere un importante Oppidum, in un punto strategico per il controllo dei trañici che certamente si snodavano nella pianura verso il mare. Teano più tardi, a cominciare dall'età Repubblicana, sarà attraversata da una notevole rete stradale percorsa agevolmente da uomini, carri e merci da e per Roma e per le più lontane province. ln territorio Sidicino dalla via Latina si diramavano molte vie: la prima si snodava verso Ovest e per Tuoro portava a Sessa; la seconda, forse la più grande ed importante, attraverso San Giulianeta, conduceva verso il mare; la terza, verso Est per le Passerelle, Riardo e Roccaromana terminava a Benevento; la quarta, per Marzanello, ben delineata nella Tabula peutingeriana, portava ad Alife ed lsernia; infine la via Adriana che verso Sud collegava Teano all'Appia.
Siamo autorizzati a pensare che le vie di allora potessero essere sicure ed accoglienti, (ce ne dà notizia l'imperatore Adriano parlando dei veloci spostamenti delle Legioni che su di esse avvenivano da un capo all'altro dell' impero), dotate di guarnigioni nei punti strategici, e di cisterne che nelle regioni più aride, ove mancavano sorgenti naturali, raccoglievano le acque piovane. I punti di ristoro che sorgevano lungo di esse, i Mancipes viarum, accoglievano uomini ed animali per le soste diurne e notturne, ai bivi delle strade si potevano scorgere magnifiche statue di rassicuranti Numi viari, nei punti più ombrosi si deviavano fresche sorgenti ove si dissetavano i viandanti e si riempivano gli otri per il viaggio.
Anche le strade di oggi, magnifiche opere d'ingegneria, uniscono le culture, creano possibilità di incontro, migliorano le esperienze e ci fanno essere e sentire tutti più vicini, grazie anche ai migliori e diversi mezzi di trasporto. Parimenti però, nel percorrere le strade moderne la sensazione che rimane non è più tanto idilliaca: lo stress, la velocità, gli ingorghi, l'ansia di arrivare e i numerosi e mortali incidenti lasciano il posto ad una melanconica postura del viaggiatore. Se poi si scade a livello locale, Regionale o Comunale in particolare, è frequente scorgere, ai margini delle strade, enormi cumuli di immondizia, argini che facilmente smottano, siepi che invadono le carreggiate, pericolose buche sul manto stradale scavate dall'acqua che attraversa orizzontalmente i sensi di marcia a causa della mancanza di semplici e ovvi fossi laterali. Chi conta oggi più di 50 anni ricorderà la figura dello Stradaiuolo, vestiva una divisa color cachi con lo stemma dell'ANAS sul berretto, ed attendeva, munito di zappa, pala e falcetto, per il suo tronco di strada, alla cura dei fossi, degli argini e delle siepi, badando che le acque piovane prendessero il verso giusto. Ed in quegli anni, prima del boom economico, era ancora possibile, al tramonto, percorrere strade solitarie ed alberate di magnifici faggi con nidi d'uccelli in primavera ed avvertire un senso di pace.

Carlo Antuono
(da Il Sidicino - Anno IV 2007 - n. 3 Marzo)