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Indice Martino Amendola
 
 

il Sidicino e il panorama politico locale

 

In merito alle argomentazioni esposte nell’articolo dello scorso mese su “spigolature del il Sidicino e altro” dell’amico e collaboratore di lungo corso Carlo Antuono, mi sento in dovere di precisare alcune cose e di rimarcarne decisamente altre circa la “ragione sociale”, la filosofia che ha dato origine alla nascita del nostro periodico e ne ha caratterizzato il suo lungo cammino, dal 2004 ad oggi.
Innanzitutto, il Sidicino è nato per proseguire fini di promozione sociale e culturale, particolarmente volti allo studio e alla divulgazione della storia, delle tradizioni e dei beni culturali dell’Agro Sidicino, alla tutela e alla valorizzazione dei beni culturali, compresi quelli ambientali e paesaggistici, ex art. 3 dello statuto, cosa che si è riusciti, bene o male, a fare, pur con tutte le difficoltà insite in un progetto ambizioso e arduo radicato in un particolare e misero contesto sociale economico e culturale, unitamente alle angosciose e drammatiche vicende mondiali che da tempo ci attanagliano: guerre, crisi climatica, Covid-19, crisi economiche, emigrazioni che, intrecciandosi vicendevolmente, diventano macigni da sollevare ripide montagne da scalare.
Ciò premesso, non si capisce l’asserzione circa il legame quasi matematico, il parallelismo tra un nostro presunto affievolimento dell’attenzione “alla storia e alla cultura popolare con la proposizione e quindi salvaguardia del nostro vernacolo, delle canzoni, filastrocche, proverbi, recupero dell'artigianato, e perché no! Raccolte di epiteti di personaggi e frivolezze varie” e il contesto sociale e politico dove “la città non offre più stimoli sociali ed organizzativi di nessun genere e tende ad appiattirsi in un processo che dura ormai da molti lustri, avviandosi a diventare un dormitorio pubblico” tanto che “anche un giornale locale perde la propria verve propositiva per ricalcare ripetitivi dibattiti che vanno in onda ad ogni ora del giorno e della notte".
E la supposta diminuzione e deriva del nostro impegno, e il modo di porre le notizie e le problematiche, che rapporta e lega alla “febbre dei Talk Show ed il loro modo di far notizia e porre le questioni che ormai ha invaso la televisione e perfino la buona vecchia radio e stiano influenzando anche il nostro giornale nel modo di porsi davanti alle questioni”.
Nulla di tutto ciò è successo o è mai stato nelle intenzioni, e stupisce che a pensarla così sia proprio un collaboratore che su questo periodico ha trattato, assieme ad altri, di storia e cultura popolare, e se questi argomenti non trovano oggi più l’attenzione di prima è dovuto, purtroppo, sia all’ineluttabilità della morte che ci ha portato via prima il Prof. Paride Squillace e poi il Prof. Antonio Martone che è stato tra i nostri studiosi e ricercatori quello più assiduo e impegnato su questi temi, e successivamente all’affievolirsi dell’impegno e delle ricerche di altri.
In compenso, e basta scorrere qualsiasi numero del nostro periodico, l’attenzione e lo spazio riservato ad altri argomenti storico culturali sono aumentati negli anni e il giornale continua senza incertezze o remore con proposizione di nuove ricerche e studi che ci portano alla riscoperta di bellezze ambientali, archeologiche, di scrittori e studiosi sconosciuti ai più, alla presentazione di misconosciuti monumenti, di opere d’arte pittoriche, affreschi, di personaggi storici, del patrimonio bibliografico, e di opere letterarie e ricerche storiche; il tutto, nonostante la desertificazione socio culturale che investe la Città e la porta a divenire “un dormitorio pubblico” come sottolineato nell’articolo in oggetto.
In più, si è sempre mantenuto uno sguardo attento e critico sulle vicende quotidiane locali, nazionali e internazionali, seppur con uno spazio limitato, ma che cercheremo di ampliare appena possibile, con un atteggiamento e una visione che esula del tutto dalle modalità e dalla filosofia dell’informazione che permea la televisione e i media nazionali nei vituperati Talk Show richiamati.
Perché è palesemente impossibile replicare sul formato cartaceo la tipologia comunicativa dei talk show, il cosiddetto salotto televisivo, lo spettacolo parlato, le conversazioni tra vari partecipanti che, tra l’altro, hanno raggiunto un grado di insopportabilità enorme, di credibilità ai limiti dello zero, dove non è l’informazione e l’approfondimento a guidarli ma la protervia e la scostumatezza, dove si fa a gara a chi urla di più, per sovrastare e zittire o impedire agli altri di dialogare. Nulla di tutto questo è mai stato minimamente ipotizzato nei nostri più reconditi proponimenti.
I nostri intendimenti, i nostri punti di vista, sempre all’interno delle argomentazioni e degli scritti di tutti, responsabili e collaboratori, non sono mai urlati, non sono mai ultimativi, incontrovertibili e “dogmaticamente” assertivi, mai provocatori; forse qualche episodio del genere è accaduto nei primi anni del giornale con titoli e articoli che sbeffeggiavano le celebrazioni dell’anniversario dell’Unità d’Italia (tanto da farmi pensare seriamente di lasciare), ma poi sono del tutto scomparsi e ora riflettono non le ideologie e i dogmi, ma i valori e le idealità degli articolisti che, fortunatamente, usano lenti di lettura diverse, eterogenee, che allargano i punti di vista e arricchiscono la discussione e la conoscenza, fintanto non ci seppellirà il pensiero unico.
In merito poi alle categorie politiche di Destra e Sinistra, alla figura di Palmiro Togliatti e al Partito Comunista Italiano, solo una breve considerazione, in questa sede non è possibile dilungarsi oltremodo, e sarebbe del tutto velleitario provare a svolgere anche una sintetica analisi che tenga insieme le molteplici interpretazioni e l’estrema complessità delle tematiche e delle vicende storiche che necessitano essere richiamate.
Basti solo ricordare che Palmiro Togliatti e il PCI sono stati tra i maggiori protagonisti della liberazione del Paese dal nazifascismo, della scrittura della Costituzione e della nascita della nostra democrazia. Che fu il fautore della “Via italiana al socialismo”, cioè la realizzazione del progetto comunista tramite la democrazia, ripudiando l'uso della violenza e applicando pienamente la Costituzione italiana. E la diversità, la peculiarità del PCI, la sua originalità, rispetto agli altri partiti comunisti emerge in maniera emblematica e evidentissima con la guida di Enrico Berlinguer e la sua visione di uguaglianza, di liberazione sociale, la rottura con Mosca e la dichiarazione della “fine della spinta propulsiva delle esperienze nate a seguito della Rivoluzione d’ottobre”, in una fase di evidente crisi del sistema capitalistico. Che lo portano a teorizzare una “Terza via” tra socialismo dispotico e socialdemocrazia inconcludente e a un nuovo e deciso impegno sui temi della pace, del femminismo, dell’ambiente e sulle motivazioni etiche dell’impegno politico con la critica feroce alla trasformazione dei partiti in macchine di potere. E le categorie di Destra e Sinistra, in un mondo che vede sempre più allargarsi il solco delle disuguaglianze e crescere la povertà, la disperazione e la fame, rimangono e sono sempre attuali più che mai.

Martino Amendola
(da Il Sidicino - Anno XX 2023 - n. 10 Ottobre)