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Gino Strada - Il medico di pace nei teatri di guerra

 
 

Il medico chirurgo, fondatore e anima di Emergency, fermo oppositore della guerra, delle violenze e delle ingiustizie sociali, paladino della pace, uno delle figure più importanti dello scenario europeo per l’impegno civile umano per la vita degli altri, ci ha lasciato prematuramente, per un problema cardiaco, lo scorso 13 agosto mentre era in vacanza in Normandia.
La notizia ha profondamente turbato e rattristato tutti quelli che in questi anni hanno avuto chiara cognizione del suo impegno pregnante e totalizzante a favore degli ultimi, degli emarginati, dei disperati senza voce, dei bambini, delle donne, degli uomini tragicamente colpiti, devastati, feriti e mutilati, dalle nefande conseguenze dei conflitti, nei teatri di guerra del mondo.
Gino Strada, nato a Sesto S. Giovanni (MI) il 21 aprile 1948, si era laureato in medicina con specializzazione in chirurgia d’urgenza alla Statale di Milano, dove aveva dato inizio al suo impegno civile e politico, militando nelle formazioni della sinistra extraparlamentare e diventando, con Luca Cafiero, uno dei leader del Movimento Studentesco.
Successivamente, aveva studiato e lavorato nelle università inglesi e in Sudafrica e avviate le sue prime esperienze umanitarie con la Croce Rossa tra l’Africa e l’Asia.
E’ con il genocidio in Ruanda, nelle sale operatorie degli ospedali della Croce Rossa, tra le tantissime vittime che necessitavano di cure, tra l’orrore prodotto dalla guerra, che gli si appalesò fortemente l’idea di creare una organizzazione per la costruzione di ospedali per curare e aiutare tutti gli sventurati colpiti dai conflitti.
Il tutto non in nome di una serie di “principi e dichiarazioni” ma perché: “Curare i feriti non è generoso né misericordioso, è semplicemente giusto. Lo si deve fare”, per il primario diritto alla vita, alla salute.
Così nel 1994 diede vita all’ONG Emergency per offrire cure mediche gratuite alle vittime delle guerre, di cui il 90% era rappresentato da civili e di questi un terzo da bambini, cercando di salvare vite umane; ONG che in 26 anni ha costruito e gestito ospedali con centri chirurgici, ampliando successivamente le proprie attività con centri pediatrici e reparti di maternità, centri di riabilitazione, ambulatori e servizi di pronto soccorso, curando e assistendo oltre 11 milioni di persone in 19 paesi.
Rigoroso, coerente, intransigente, a volte duro e quasi scontroso, ha fatto della lotta alla guerra, all’ingiustizia sociale, in favore di una sanità pubblica, di rapporti umani fondati sulla solidarietà e il rispetto reciproco, i suoi punti cardinali, incrociando i suoi passi in questo percorso con quella grande galassia dei movimenti e organizzazioni per i diritti civili e sociali, molti dei quali figli dell’esperienza del Movimento Studentesco e trovando, lui ateo convinto, amicizia e vicinanza con uomini come don Luigi Ciotti, don Gallo, padre Alex Zanotelli.
Ad Emergency, per la sua rilevanza nell'ambito di conflitti e dei soccorsi umanitari, dalle Nazioni Unite è stato riconosciuto lo “Stato consultivo speciale” presso il Consiglio Economico e Sociale e a lui, nel 2015, è stato conferito il “Right Livelihood Award”, il premio Nobel alternativo.
Nel discorso pronunciato nel corso della cerimonia di consegna del premio, nel delineare sinteticamente le origini e le finalità dell’ONG, rimarcando lucidamente e risolutamente gli orrori della guerra, argomentava strenuamente sulla necessità del disarmo, della fine delle guerre, paragonate, da medico, ad un cancro e pertanto da combattere per estirparlo: “la guerra, come le malattie letali, deve essere prevenuta e curata. La violenza non è la medicina giusta; non cura la malattia, uccide il paziente”.
La sua perdita lascia un vuoto gigantesco, ci fa sentire più soli, orfani di un amico, di un fratello, di un uomo che, come felicemente evidenziato da Moni Ovadia, era un Giusto perché: “secondo una tradizione khassidica il mondo è retto da 36 giusti, … questi hanno una caratteristica comune, sanno che le relazioni sociali e umane muovono a partire dall’altro da sé, che il riconoscimento e l’accoglimento dell’alterità è il valore primo. Il giusto è un essere umano che è pronto a rischiare la propria vita per la salvezza di un suo simile, in questo Gino Strada era un giusto nel significato più radicale del termine. L’altro esprime il livello più intimo della sua essenza e del suo senso quando è oppresso, perseguitato, diseredato, sfruttato, ferito, mutilato. Gino percepiva immediatamente la sofferenza e accorreva a costo di qualsiasi rischio per lenire il dolore, per curalo”.

Martino Amendola
(da Il Sidicino - Anno XVIII 2021 - n. 8 Agosto)