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Covid-19, il caos legislativo regionale e i diritti di

cittadinanza tra pandemia e sindemia
 
Mauro Biani da Il Manifesto
 

È sempre più difficile e problematico comprendere il senso vero, ultimo, delle quotidiane esternazioni, delle innumerevoli e, spesso, contraddittorie ordinanze con cui i vari presidenti regionali determinano le iniziative e le misure per la lotta e il contrasto al Covid 19.
In una situazione di gravissima crisi epidemiologica che ha brutalmente colpito il nostro Paese e l’intero pianeta, con pesanti e, ormai, insostenibili ripercussioni su ogni aspetto della vita quotidiana: relazionale, sociale e lavorativa, con sensibili ricadute sulla sfera psicologica, diventa assolutamente inaccettabile, stucchevole e indecente il continuo “gioco delle parti” tra i vari presidenti di regioni e tra questi e il governo nazionale.
Con lo squallido, grottesco balletto dell’alzare continuamente il tiro, della polemica strumentale, del contestare a prescindere, per confondere la pubblica opinione, per offuscare e uniformare fallimenti, inadeguatezze e responsabilità, arrivando a rivendicare, dapprima, autonomia decisionale, poi l’intervento dello Stato e infine a lamentarsene per quanto deciso e a operare in contrasto con esso. Nell’assunto che le decisioni più impopolari debbano essere preso dallo Stato e le altre, al di là delle competenze specifiche, da loro “Governatori”, come da lessico coloniale e provinciale in uso oggi, scimmiottando gli Stati Uniti.
Questo con un virus che ha ormai colpito oltre settanta milioni di persone e prodotto oltre un milione e settecentomila morti nel mondo, mietendo da noi, nonostante le misure adottate: le restrizioni, il confinamento, le chiusure, il coprifuoco notturno, il distanziamento, la didattica a distanza, centinaia di morti quotidiane, come certificate dal doloroso e angosciante bollettino Covid serale delle regioni.
Facendoci divenire, con quasi settantamila morti, uno dei paesi più colpiti nel mondo e il più colpito in Europa.
La dura lezione della prima fase, della prima ondata del virus, con le tragiche scene del cimitero di Bergamo e delle RSA lombarde non sono servite a nulla.
Si è giunti assolutamente impreparati a questa nuova ondata confidando, sia il Governo centrale che le regioni, in una attenuazione estiva della carica virale e nella successiva scomparsa del virus.
Ci si è cullati in questa convinzione e, nel desiderio impellente di ritornare ad una tranquilla normalità si sono adottate misure assai discutibili e rivelatesi deleterie. A cominciare dall’elargizione dei “buoni vacanze”, da parte del governo, al fine di incentivare una ripresa del settore turistico alberghiero, per giungere a quelle sconsiderate del presidente della Sardegna, con le aperture delle discoteche a ferragosto, divenute le maggiori fonti di contagio e incubatrici della seconda ondata.
Ora dopo la suddivisione dell’Italia in zone: gialle, arancione e rosse, con graduazione delle restrizioni, limitazioni e delle chiusure, in base a 21 parametri legati al rischio di contagi, alla trasmissibilità, agli accertamenti diagnostici, alla tenuta dei servizi sanitari, si è avviata la corsa mediatica alla maggiore visibilità possibile per i vari presidenti regionali, con la contestazione dei criteri adottati dagli esperti del Comitato Tecnico Scientifico, la pretesa di maggiori aperture, di collocazione nella fascia di minori restrizioni, la richiesta pressante dell’apertura degli impianti sciistici.
Con grottesche bordate quotidiane, ad alzo zero, da parte del presidente “sceriffo” della Campania, verso le altre regioni e verso il governo, la collocazione nella zona gialla del Molise da parte del suo presidente, in contrasto con il DPCM, il proclama del presidente della provincia autonoma di Bolzano di muoversi “in linea con la Germania e l’Austria”, fino all’infelice e miserevole uscita di quello della Liguria, circa il confinamento delle persone anziane, “pensionate e non più produttive”.
Normalmente in una democrazia sana prevale sempre l’interesse nazionale, al di là degli schieramenti politici, a maggior ragione proprio in questi momenti così gravi e allarmanti ci si sarebbe aspettato una saldezza delle istituzioni, una consapevolezza diversa da parte delle regioni, un loro ruolo collaborativo, come costituzionalmente previsto e non un rapporto di contrapposizione, perennemente conflittuale. Questa crisi ha evidenziato, drammaticamente, tutti i limiti di un regionalismo spinto ai limiti del federalismo, gli errori e le conseguenze della revisione del Titolo V della Costituzione, con la concessione di poteri enormi alle Regioni, anzitutto in tema sanitario, peggiorando lo Stato senza migliorare le regioni.
Sarebbe ora il caso di ritornare, con tutta la determinazione possibile, su quella revisione del Titolo V, annullandola, altro che discutere di autonomia differenziata che, se malauguratamente dovesse aver vita, darebbe una poderosa spallata all’unitarietà dello Stato e mortificherebbe gran parte del paese intaccando diritti essenziali dei cittadini, già oggi compromessi, allargando a dismisura le disuguaglianze socio economiche e di condizioni di vita che tuttora persistono in gran parte del paese.
Questa pandemia ha rimarcato in maniera incontrovertibile i limiti e l’inadeguatezza di un sistema, di una politica, che non pone al centro i bisogni, i diritti e la dignità delle persone, non agisce con fermezza verso una transizione ecologica e un nuovo modello di sviluppo, per fermare la catastrofe ambientale e la distruzione del nostro ecosistema.
Perché se non interveniamo, se non cambiamo rotta, saremo sempre costretti a dover far i conti con nuove emergenze, nuovi virus, perché il Covid non è altro che il sintomo di una malattia “cronica e progressiva che riguarda l’intera biosfera”.
E non di pandemia dovremmo parlare, ma di sindemia come affermato su “The Lancet”, famosa rivista scientifica inglese, dal direttore Richard Horton, che riprendendo la nozione concepita dal medico antropologo americano Merril Singer negli anni ’90, ci dice che quella che stiamo vivendo non è propriamente una pandemia ma una sindemia, cioè la sovrapposizione di due o più epidemie concomitanti: il Covid e le malattie croniche che nella nostra società hanno raggiunto livelli epidemici, che aggravano l’incidenza delle malattie, oltre la somma delle stesse. colpendo in maniera preponderante gli strati sociali più poveri deboli e vulnerabili del pianeta.

Martino Amendola
(da Il Sidicino - Anno XVII 2020 - n. 10 Dicembre)