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Indice Martino Amendola
 
 

Verso un'Europa federale e solidale

 
Tra pandemia e tempo sospeso un primo passo con il Recovery Fund
 
 

Non siamo ancora venuti fuori dalla crisi sanitaria legata alla pandemia del Sars CoV-2, nonostante l'uscita dal lockdown e la ripresa delle attività produttive e sociali, immersi come siamo in una situazione che obbliga alla convivenza con un virus pericoloso e subdolo che continua imperterrito a propagarsi e a mietere vittime, obbligandoci a nuovi stili di vita, a comportamenti più responsabili e a molte restrizioni.
Le enormi difformità di interventi per il suo contrasto, messi in campo dai vari governi mondiali, hanno evidenziato, dolorosamente e angosciosamente, tutti i limiti di una battaglia combattuta a macchia di leopardo, senza l'attivazione delle necessarie sinergie e senza una strategia comune in un mondo globalizzato e interconnesso.
In questo contesto, malgrado tentennamenti e errori, l'Italia e l'Europa (tranne qualche paese dell'Est) sono intervenute responsabilmente, privilegiando necessariamente la salute e la sicurezza pubblica, pur in previsione di un costo economico e sociale che sarebbe stato certamente salato, riuscendo, in tal modo a contenere il diffondersi del virus e a salvare tantissime vite umane.
Altri, purtroppo, senza tenere in alcun conto le evidenze scientifiche e le raccomandazioni dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, hanno anteposto le ragioni economiche del dio Mercato a quelle della salute.
È questo il caso di Stati e Presidenti (su tutti Trump e Bolsonaro, a cui tengono bordone in Italia la Lega di Salvini e frange della destra) che si sono distinti per il loro alto grado di negazionismo della pandemia, considerando il virus poco più di una semplice influenza, e di un distorto senso del concetto di libertà individuale.
Che puntavano, dapprima, al raggiungimento della cosiddetta ”immunità di gregge”, mettendo cinicamente in conto la perdita di tantissime vite: dei più fragili, dei più poveri e dei più vecchi, poi, a un rapido esaurirsi del virus dopo un certo lasso di tempo: 70 giorni e con le temperature elevate estive, senza alcun supporto di analisi e studi scientifici.
Questo, ha alimentato il dilagare del virus che ormai ha raggiunto livelli enormi, con oltre 22 milioni di contagiati e 800 mila morti, secondo le stime ufficiali, ad oggi, della Johns Hopkins University con gli Usa e il Brasile che risultano i Paesi tragicamente più colpiti.
Numeri che, tuttavia, devono essere moltiplicati per 6 o 10, come da più parti si è sempre ipotizzato e che trovano oggi una prima conferma da un'indagine di sieroprevalenza, a cura dell'Iss e dell'Istat, da cui emerge che in Italia i contagiati risultano 1.500.000, sei volte di più di quelli ufficiali.
Le conseguenze determinate dal “lockdown”, con la chiusura di interi settori produttivi e attività socio-economiche, dei trasporti e delle frontiere, con conseguenti restrizioni commerciali, sono state gigantesche, drammatiche, aggiunte agli esiti disastrosi prodotti dalla crisi della bolla finanziaria dei “subprime” del 2008, non ancora del tutto superata, tanto da farci trovare invischiati nel pieno della più grave crisi economico-sociale dal dopoguerra ad oggi.
La recessione derivata dalla crisi ha colpito indifferentemente tutti i Paesi, con il crollo del Pil, la perdita di posti di lavoro e l'espandersi vertiginoso delle disuguaglianze della povertà e del bisogno.
Allargando ancor più la forbice tra i Paesi ricchi e quelli poveri e, all'interno degli stessi, tra la stragrande maggioranza che si trova in condizioni di estremo bisogno e i pochi che, invece, diventano sempre più ricchi e potenti.
I posti di lavoro persi, con tantissime aziende e attività commerciali costrette alla chiusura, si contano a milioni nel mondo, con la disoccupazione che, solo in Europa, è passata dal 5,2% al'8,4% (al 9% nell'Eurozona).
Con l'Italia tra i Paesi più colpiti, se non il più colpito, con oltre 500 mila disoccupati in più e oltre 400 mila persone che hanno rinunciato a cercare lavoro, secondo gli ultimi dati dell'Istat, e un tasso di disoccupazione al 12,4%.
Ai quali vanno aggiunti altri 380 mila posti di lavoro, solo al Sud, che rischiano di scomparire entro quest'anno, secondo le previsioni dello Svimez.
In questo scenario drammatico, assolutamente senza precedenti, con ancora vivo il pensiero della crisi finanziaria del 2008, quando le politiche di austerity avevano travolto alcuni paesi dell'Eurozona e costretto nel 2010 il popolo greco a enormi e dolorosi sacrifici, fatti di lacrime e sangue, e poi con le tensioni finanziarie del 2011 che fecero traballare pericolosamente l'idea stessa di Unione Europea, occorreva un deciso e chiaro cambio di rotta delle politiche europee, dell'idea stessa di comunità.
Cambio di rotta, di paradigma, assolutamente inimmaginabile però, alla luce della rigida applicazione dell'ideologia neoliberista, con il dominio del mercato, senza una minima idea di Comunità solidale, con imperanti le regole del Patto di stabilità e del “no bail out”, il divieto per ogni Stato membro di portare aiuti economici a quelli in difficoltà.
Eppure, qualcosa di straordinario, di portata storica, è avvenuto con le conclusioni del Consiglio Europeo del 21 luglio, dopo una lunga e estenuante trattativa, durata ininterrottamente 4 giorni, tra i 27 governi europei.
Finalmente, dopo una dura contrapposizione tra Stati cosiddetti “frugali” del Nord e Stati “mediterranei”, con il decisivo intervento della Germania e della Francia, si è addivenuti ad uno storico accordo per porre in essere un primo, seppur timido, passo verso un'Europa federale e solidale.
Con un piano di rilancio delle economie europee: il Recovery Fund, battezzato dalla Commissione “Next Generation EU”, di 750 miliardi di Euro, per finanziamenti a fondo perduto e prestiti, che si sommano ai 1074 del Bilancio pluriennale UE 2021/2027.
Così, per la prima volta l'Unione Europea, con la contrazione di un debito comune, ha agito da comunità politica, e non solo da agglomerato economico-monetario, assumendosi il dovere di utilizzare il proprio bilancio per aiutare, senza obbligo di restituzione, i paesi in difficoltà, con la sola condizione di far ripartire il motore economico dei vari paesi beneficiari, con la destinazione dei finanziamenti a favore dell'ambiente: il Green new deal, con specifiche azioni di contrasto alle politiche climalteranti, cui devono essere destinati il 30% delle risorse, dei beni pubblici, della salute e del progresso tecnologico.
Per l'Europa e per l'Italia, che è il Paese che ha beneficiato maggiormente di tali fondi, ottenendo 81 miliardi di contributi e 127 miliardi di prestito agevolato, questa crisi può rappresentare un'occasione irripetibile per correggere l'attuale modello di sviluppo con cambiamenti epocali di riconversione ecologica, ricorrendo a fonti energetiche rinnovabili, all'economia circolare, preservando gli ecosistemi e il suolo.
E, in più, per il nostro Paese, per puntare alla ricostruzione di un Servizio Sanitario pubblico nazionale, al potenziamento e adeguamento del sistema scolastico, alla riqualificazione dei sistemi urbani e dei trasporti, al risanamento ambientale.

Martino Amendola
(da Il Sidicino - Anno XVII 2020 - n. 6 Agosto)

Mauro Biani (il Manifesto)