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Indice Martino Amendola
 
 

L'Autonomia Regionale Differenziata

 
Prove di dissoluzione dell'unità italiana
 

Tra l'abituale indifferenza generale, in assenza di un minimo di dibattito politico, col complice silenzio dei giornali e delle tivù nazionali, si sta consumando uno dei più gravi e nefasti progetti che minano alle fondamenta le ragioni e i principi costituzionali che hanno dato vita allo Stato unitario.
La sciagurata riforma del titolo V della Costituzione, varata dal centrosinistra del 2001 per cercare di porre argine alle politiche secessioniste della Lega Nord, mai interamente attuata e definita nei suoi più specifici aspetti e pre-condizioni, sta entrando nella fase finale, partorendo un frutto avvelenato e prodomico di conseguenze dirompenti per l'architettura istituzionale: l'autonomia differenziata delle regioni.
Una vicenda che ha avuto inizio con i referendum consultivi in Lombardia e nel Veneto nel 2017 e continuata con la sottoscrizione il 28 febbraio 2018, nelle “segrete stanze”, di un preaccordo con le tre regioni interessate (alle due iniziali si era aggiunta l'Emilia Romagna) da parte del sottosegretario per gli affari regionali dell'ormai dimesso governo Gentiloni.
Gli accordi per l'autonomia differenziata, prevista dall'art. 116 della Costituzione riformata, contemplano il trasferimento dallo Stato alle Regioni della potestà legislativa di ben 23 materie elencate nel successivo art. 117, oggi a legislazione concorrente in cui allo Stato competono le leggi di principio e alle regioni quelle di dettaglio.
In tal modo si da un colpo mortale all'unità nazionale, avviando una subdola frantumazione dell'Italia tra regioni più ricche e regioni più povere, tra cittadini di seria A e cittadini di serie B e ai principi di tutela dell'uguaglianza dei cittadini, di solidarietà e di perequazione, alla luce della motivazione principale dell'operazione: la regionalizzazione fiscale.
Nei fatti una vera e propria secessione dei ricchi, avallata dal governo giallo-nero M5S Lega e con la colpevole ignavia del PD.
Perché le materie in oggetto riguardano competenze importantissime, nevralgiche, in settori cruciali dello Stato quali la sanità, l'istruzione, la sicurezza del lavoro, dell'alimentazione, la protezione civile, il governo del territorio, i trasporti, l'energia, i rapporti con l'Unione Europea, il commercio con l'estero.
Il tutto, in assenza dei previsti e mai definiti e normati livelli essenziali di prestazione, i Lep, da assicurare in tutto il paese attraverso la perequazione, “concernenti i diritti civili e sociali che devono esssere garantiti su tutto il territorio nazionale” come prescrive l'art. 117 della Costituzione.
In mancanza di tali parametri si consolideranno e cristallizzerano le differenze oggi esistenti tra le varie regioni, aumenteranno le diseguaglianze, si darà vita ad un'Italia a “geometria variabile” con regioni a statuto speciale, regioni con autonomia differenziata, e regioni a statuto ordinario.
Incredibilmente, il disegno di legge governativo che dovrebbe formalizzare l'accordo, dando vita ad un processo di tale rilevanza non ha investito per niente il parlamento che, ora, dovrebbe solamente ratificarlo senza alcuna possibilità di discuterlo e emendarlo.
Perché, in assenza di una specifica previsione normativa si è rinviato alla prassi consolidata in materia di intese con le confessioni religiose acattoliche che riserva al parlamento solo la facoltà di ratificare o meno gli accordi.
“Mai si era verificata in Italia, fino ad oggi, un'operazione di aperta eversione dello Stato repubblicano…Siamo in un frangente delicato della nostra storia che può decidere dell'unità o della frantumazione avvenire della comunità nazionale, della sua riduzione a un mosaico di statarelli regionali in rissa e competizione perpetua” come con grande preoccupazione sottolinea lo storico Piero Bevilacqua in una lettera aperta al Presidente della Repubblica.
Col rischio di trovarci “tra qualche tempo a studiare il caso cecoslovacco. Il velvet divorce venne con voto parlamentare del novembre 1992, e il paese fu diviso senza alcuna partecipazione della volontà popolare. In sostanza, la separazione su un crinale di ricchezza-povertà fu voluta e decisa dal ceto politico, e in particolare dai leaders dell'epoca…Il regionalismo differenziato messo in campo può avvicinarci all'ex Cecoslovacchia. Per evitare impazzimenti e difendere la Repubblica, la Costituzione, la nostra storia, bisogna bloccarlo o correggerlo radicalmente qui e ora, nel paese, in parlamento, in corte costituzionale”, come rincara con accorato e allarmato appello il costituzionalista Massimo Villone.

Martino Amendola
(da Il Sidicino - Anno XVI 2019 - n. 2 Febbraio)