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Addio a Claudio Lolli

 

Lo scorso 17 agosto ci ha lasciato, improvvisamente, Claudio Lolli, il cantore simbolo degli anni '70 e del Movimento, l'artista (musicista, cantante, poeta, scrittore) che più di ogni altro ha incarnato e rappresentato le istanze e le passioni di un mondo giovanile in rivolta contro le oppressioni e l'autoritarismo per una società diversa, più libera, più giusta, di eguali e senza sfruttamenti.
Nato a Bologna nel 1950 era cresciuto e maturato nel pieno dell'onda rivoluzionaria del '68, di cui aveva perfettamente recepito e assorbito gli ideali, le passioni civili e politiche, la strenua volontà di cambiare lo stato delle cose.
Quegli ideali, quelle passioni che con la sua innata timidezza, l'incrollabile fermezza e il rifiuto di ogni compromesso, avevano caratterizzato il suo impegno e dato linfa vitale alle sue tematiche, alle sue canzoni e ballate.
Appassionato dei poeti della Beat Generation (Ginsberg, Ferlinghetti, Corso) per quel senso liberatorio e di rifiuto di ogni oppressione, di ripulsa della guerra, per quell' attitudine al viaggio, alla contaminazione, quel senso cosmopolita che li animavano; grande estimatore della musica dei Beatles, per la loro prorompente capacità innovativa e di massima libertà espressiva; la lettura e la musica, assieme alla coltivazione della sua passione per la scrittura, che riempivano le sue giornate di adolescente solitario, diventano “alcune delle ragioni della sua vita, che davano un minimo di senso alla vita”. Legge tantissimo, è un lettore curioso e vorace innamorato della poesia di Leopardi, di Cesare Pavese, dei grandi classici europei: di Mann e Proust in particolare, di Kafka letto a 15 anni, di cui gli resta indelebile nella memoria la lettura di “La metamorfosi” divorato “in un pomeriggio in cui ero in casa da solo, impaurito e abbarbicato su una poltrona senza muovermi finché non ero arrivato all'ultima pagina. Tutta quella fantasia, quel lavoro onirico sulla scrittura… Mi diede il senso di quello che poteva essere scrivere, di quello che poteva muovere”.
Comincia così a scrivere i suoi primi testi e a comporre le prime canzoni che sottoporrà all'attenzione generale nella famosa “Osteria della Dame” di Bologna.
Qui conosce Francesco Guccini che, intuite le sue potenzialità artistiche, lo porterà alla EMI che gli farà firmare un contratto e che pubblicherà i suoi primi 4 album e altri successivamente dopo “Disoccupate le strade dai sogni”del 1977.
Il primo album: “Aspettando Godot” del 1972, registrato con strumentazione essenziale, arrangiamenti semplici e immediati, accompagnandosi con la chitarra suonata spesso con la tecnica del finger picking, già nel titolo, e nel brano omonimo, richiamandosi a Beckett e al teatro dell'assurdo, esplicita il percorso artistico, letterario e colto, che sarà la sua cifra stilistica: la ricerca del senso delle cose, dell'essere e dell'esserci, l'angoscia del vivere quotidiano, il disagio esistenziale di una vita piatta, alienante e senza orizzonti: “vivo tutti i miei giorni aspettando Godot/ dormo tutte le notti aspettando Godot/ ho passato la vita ad aspettare Godot”, raccontata con voce calda e inquieta, con trasporto e passionalità; con una straordinaria capacità di trasformare in canzoni la “malinconia” della realtà quotidiana. Intendendo per malinconia: “quello che dice Leopardi, che lui chiama noia: il rendersi conto delle insufficienze del mondo e quindi soffrirne un po'”.
Vi si ritrovano l'impegno politico in “Borghesia”, feroce ritratto di quella classe mercantile imprenditoriale flaccida e meschina che aveva permeato l'orizzonte culturale dominante e in “Quelli come noi”, il disagio esistenziale ne “L'isola verde”, l'anticlericalismo in “Quanto amore”, la risoluta critica all'autoritarismo familiare e ai rapporti padre-figlio in “Quando la morte avrà” (dedicata al padre), il degrado delle periferie, la tristezza, la solitudine e l'angoscia in “Angoscia metropolitana” e poi la struggente dolcissima e lirica “Michel”, sull'amicizia e sulla giovinezza, e “Quel che mi resta” intensa rievocazione di un amore perduto.
L'anno successivo, il 1973 esce “Un uomo in crisi. Canzoni di morte. Canzoni di vita”, che riecheggia il precedente ma con la presenza tra i musicisti di due figure internazionali di gran prestigio: Stefan Grossman e Tony Markus. Il disco è aperto dalla malinconica e angosciante “Io ti racconto”, una delle sue più conosciute composizioni, emblematica e cupa :”…Io ti racconto il sogno strano di inseguire con la mano un orizzonte sempre più lontano/Io ti racconto la nevrosi di vivere con gli occhi chiusi, alla ricerca di una compagnia/Ti dico la disperazione di chi non trova l'occasione per consumarsi un giorno da leone/Di chi trascina la sua vita, in una mediocrità infinita con quattro soldi stretti tra le dita/Io ti racconto la pazzia che si compra in chiesa o in drogheria, un po' di vino un po' di religione/Ma tu che ascolti una canzone, lo sai che cos'e' una prigione? Lo sai a che cosa serve una stazione?/Lo sai che cosa è una guerra? E quante ce ne sono in terra? E a cosa può servire una chitarra?/Lo sai che siamo tutti morti e non ce ne siamo neanche accorti, e continuiamo a dire e così sia”. L'impegno politico si ritrova in “Morire di leva”, duramente antimilitarista, che racconta il suicidio di un soldato in caserma, in “Quello lì (compagno Gramsci), che narra le vicende del giovane Gramsci studente a Torino, in “La giacca” con cui incita all'impegno, a darsi da fare per cambiare le cose perché: “Vivere comporta un minimo di rischio, lo corri, ti diverti e riesci a combinare anche qualcosa di non eccessivamente finto. Se non lo corri puoi mantenere i fili forse meglio. Però non esisti”. Ritorna ancora sui disagi e lo squallore delle periferie in “Hai mai visto una città”. Completano il disco “La guerra è finita”, “Un uomo in crisi”, la dolce atmosfera musicale di “Un uomo nascosto” e “Un bel mattino”.
Nel 1975 esce “Canzoni di rabbia” con gli arrangiamenti di Ettore De Carolis, collaboratore anche di Guccini e di Alan Sorrenti. Il disco è il naturale susseguirsi delle tematiche care a Lolli, particolarmente con la ripresa dell'anticlericalismo in “Prima comunione”, dell'antimilitarismo in “Al Milite ignoto”, del disagio esistenziale in “Vent'anni” e con la particolarità quasi unica nel panorama musicale della descrizione della vita nelle carceri in “Delle capre”.
L'anno successivo vedrà la luce “Ho visto anche degli zingari felici”, imposto da Lolli al prezzo politico di lire 3500 invece che delle 5000 di mercato, l'album manifesto degli anni '70 e del Movimento, un capolavoro assoluto e uno dei vertici del Rock italiano e della musica cosiddetta d'Autore.
Il disco è di fatto un concept album, con un filo conduttore che lega i vari momenti, le varie composizioni, in maniera organica e uniforme. Il collante sono le istanze di quel periodo e di quella moltitudine di giovani carichi di speranze, idealità, passioni, rabbia, malinconia. Legate alla percezione dello spazio classico della piazza, intesa coma “agorà”.
Il centro da cui tutto si irradia, ove tutto comincia e tutto finisce. Bologna, naturalmente e Piazza Maggiore precisamente.
I testi sono intensi, evocativi lucidi e diretti e gli usuali riferimenti colti si leggono già dal titolo, ripreso da un vecchio film iugoslavo e dalle ultime quattro strofe del brano principale, rielaborate da Lolli da la “Cantata del fantoccio lusitano“ di P. Weiss.
La musica subisce una netta impennata, con arrangiamenti raffinati, complessi, con sonorità che travalicano gli usuali confini per giungere a contaminazioni prog e jazz, con la voce potentemente espressiva, struggente e lirica del sax di Danilo Tomasetta.
Gli “zingari felici” sono la metafora di quella gioventù, del Movimento, di quel popolo di sinistra che non riesce a parlarsi, dei vinti, degli emarginati, dei diseredati in un canto di speranza e di incitamento con un tema musicale incalzante, sempre in crescendo, bellissimo, da brividi : “...e siamo noi a far bella la luna/ con la nostra vita/ coperta di stracci e di sassi di vetro/ Quella vita che gli altri ci respingono indietro/ come un insulto/ come un ragno nella stanza/ Ma riprendiamola in mano riprendiamola/ intera/ riprendiamoci la vita/ la terra, la luna e l'abbondanza.
Ma la “Piazza, bella piazza” è anche quella che rimanda ai tragici anni del terrorismo e delle stragi di Stato, con le bare di dieci delle dodici vittime dell'attentato dell''Italicus del 4 agosto 1974 e la presenza alla loro commemorazione sul sagrato di S. Petronio del presidente Leone e delle massime autorità, con la folla inferocita e indignata: “Di Leone avrei fatto senza/ si sentiva qualcuno urlare/ solo fischi per quei maiali/ siamo stanchi di ritrovarci/ solamente a dei funerali. Così come per “Agosto”, i cui versi amari e duri parlano ancora della strage, delle stragi : “Si muore di stragi/ più o meno di Stato” e rimandano alla morte dell'anarchico Pinelli. Mentre “Primo maggio di festa”, è un delicato e amaro intrecciarsi di stati d'animo contrastanti: tristi e penosi per la morte del padre e gioiosi e euforici per la liberazione di Saigon e per il Vietnam: “Primo maggio di festa oggi nel Vietnam/ e forse in tutto il mondo/ primo maggio di morte oggi a casa mia/ ma forse mi confondo”. Con “Morte della mosca” tornano prepotentemente in evidenza i temi del potere oppressivo e delle ingiustizie sociali, con la mosca metafora degli ultimi, soli e senza diritti. “Albana per Togliatti” rappresenta il canto malinconico e amaro sulle perenni divisioni e lacerazioni del popolo della sinistra. “Anna di Francia”, creatura bella e dolce, è la rappresentazione meravigliosa e emblematica della libertà femminile e del femminismo.
Nonostante il successo del disco, Lolli abbandona la Emi e approda ad un'etichetta alternativa indipendente pubblicando nel 1977 “Disoccupate le strade dai sogni”, con sonorità insolite, continui riferimenti jazzistici e con testi che rievocano i fatti di Bologna del 1977 con l'uccisione da parte della Polizia dell'inerme militante di Lotta Continua Francesco Lorusso. È un disco difficile e senza alcuna promozione commerciale e, pertanto, non ha il risalto che avrebbe meritato. Il disco rappresenta di fatto lo spartiacque tra il cantore del Movimento e il Lolli successivo. I fatti di Bologna con l'irruzione della Polizia nella sede di Radio Alice, la scelta scellerata della lotta armata delle BR, il governo di solidarietà nazionale DC-PCI, sono gli estremi esiti della sconfitta del sogno della ”Fantasia al potere” : “disoccupate le strade dai sogni”, come lucidamente presagita in “Incubo numero zero”. Rappresentano il fallimento politico del Movimento, con l'isolamento dei loro rappresentanti, l'abbandono dell'impegno collettivo e il ritorno al privato. Lolli, in questo periodo, dato anche il suo carattere schivo, riservato, caparbiamente coerente e avulso da ogni spettacolarizzazione e notorietà, è indotto ad un periodo di silenzio. Solo nel 1982, con il ritorno alla EMI, incide un nuovo disco: Extranei, sempre nel solco dell'impegno sociale e politico, cui seguirà nell '83 “Antipatici antipodi” album intenso e bellissimo caratterizzato dalla collaborazione con un' altra figura geniale e simbolica della Bologna del '77 e del Movimento: Andrea Pazienza che disegna per lui la copertina del disco. I temi sono quelli ricorrenti dell'inquietudine esistenziale, della giovinezza, della libertà: “perché la gioventù non è una questione di anni / ma piuttosto di sassi nel cuore”. Nel 1988 esce “Claudio Lolli”, ancora un disco d'alto livello qualitativo, il 1992 è l'anno di “Nove pezzi facili”, una stupenda raccolta di 3 brani da vecchi album, il rifacimento di altri e tre brani originali intensi, struggenti e musicali: “Tien an men” con il testo dell'amico poeta G. D'Elia, sulla protesta dei giovani universitari cinesi e “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi” dell'amato Pavese, musicata a 19 anni e solo ora incisa. Seguono, di nuovo con piccole etichette indipendenti: “Intermittenze del cuore” (1997), “Viaggio in Italia” (1998), “Dalla parte del torto” (2000), “La terra la luna e l'abbondanza” (2002) “Ho visto anche degli zingari felici” (2003 dal vivo)“La via del mare” (2005 dal vivo), “La scoperta dell'America” (2006), “Lovesong” (2009).
In questi anni l'attività di musicista viene abbinata alla passione della scrittura con vari, intriganti e avvincenti scritti: L'inseguitore Peter H.; Giochi crudeli; Nei sogni degli altri; Antipatici antipodi; Rumore rosa; Lettere Matrimoniali; Disoccupate le strade dai sogni (con i testi delle sue canzoni); e dall'insegnamento dell'italiano e del latino nei Licei.
Dopo oltre otto anni di silenzio, nel 2017 esce l'ultimo suo disco “Il grande freddo” realizzato grazie al crowfunding, una raccolta di fondi su Internet, che vincerà la Targa Tenco per “Il miglior album in assoluto”.
Poi, il malore, la corsa in ospedale e la morte il 17 agosto 2018 che decreta la fine di una delle figure chiave degli anni '70 e l'artista sublime, l'accorato cantore delle speranze e della rabbia che hanno alimentato intere generazioni.

Martino Amendola
(da Il Sidicino - Anno XV 2018 - n. 9 Settembre)