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Indice Martino Amendola
 
 

A proposito di patria ed eroi

 
La tragedia della 2ª guerra mondiale tra rimozione, revisionismo e memoria
 

L'esercizio della memoria diventa sempre più un'attività faticosa e superflua, in questa nostra odierna società. Dove predomina la fretta, l'approssimazione, l'omologazione, la cultura dell'apparenza e dell'effimero. Dove tutto viene circonfuso da un alone nebuloso che appiattisce, smussa, uniforma, rendendo impenetrabile e impercettibile ogni situazione, ogni accadimento.
Svilendo e annullando differenze, dissonanze, pluralità, che alimentano e arricchiscono il nostro vivere quotidiano. Precipitandoci in un mondo in cui ogni orizzonte diventa monocromo, dove tutto è bianco o è nero. Eliminando, finanche, l'infinita scala dei grigi. In tal modo, la memoria, lo studio, l'elaborazione e la produzione di idee e di cultura, ingabbiate in percorsi tortuosi e oscuri, tendono a perdere valore e significanza.
Una situazione resa ancora più ardua e problematica dallo scientifico e pervasivo svuotamento di senso delle parole, divenute ormai inutili simulacri, esanimi e spoglie vestigia. Atte a significare tutto e il suo contrario.
La smemoratezza congenita di un popolo costretto a secoli di vile servaggio, a funamboliche furbizie, a repentine e opportunistiche giravolte, ha sempre ostacolato un serio processo di riflessione e analisi dei fenomeni e degli eventi che hanno determinato divisioni e laceranti conflitti nella nostra storia recente. Impedendo di far i conti con il passato e di aver chiara percezione di ciò che è stato, con l'acquisizione collettiva di una memoria condivisa.
La storia diviene terreno di scontro, oggetto di rilettura di parte, riscritta “pro domo sua” di volta in volta dai vari governi in carica, perennemente in bilico tra rimozione, nostalgia, revisionismo.
Così, con Berlusconi e gli ex fascisti al governo si è avviato da subito, sin dai primi atti ufficiali, un'opera di revisionismo storico con uno strisciante e subdolo tentativo di equiparazione tra i partigiani della Resistenza e i miliziani della Repubblica di Salò.
Tentativo dapprima fallito poi riproposto e accentuato con inverecondia nel giugno del 2008, con la proposta di legge n. 1360 con cui si ipotizzava la costituzione di un “Ordine Tricolore”, sulla falsariga di quello di “Vittorio Veneto” per i combattenti della I^ guerra mondiale, per “tutti coloro che impugnarono le armi e operarono una scelta di schieramento convinti della bontà della loro lotta per la rinascita della Patria”. Operazione questa che includeva non solo i repubblichini della Rsi ma anche i componenti della Guardia Nazionale Repubblicana, delle Brigate Nere e delle feroci Bande “Koch” e “Carità” che si macchiarono del sangue di tanti e inermi civili.
Mettendo sullo stesso piano, omologandoli e confondendoli, i valori di libertà, democrazia e giustizia per cui combatterono i partigiani, con i folli ideali di superiorità razziale, discriminazione, e sterminio di intere etnie, del fascismo e del nazismo. Rimuovendo il fatto che dopo l'Armistizio il governo del Regno d'Italia, rifugiato al Sud, era pienamente operante e legittimo, al contrario della Repubblica di Salò. Senza possibilità alcuna di poter equiparare i combattenti in campo.
Negando la realtà dei fatti che videro la Rsi “collaborazionistica e inchiodata al ruolo subalterno di rastrellatrice di partigiani e civili. Circondata dall'odio e dalla diffidenza della stragrande maggioranza degli italiani. Per cui malgrado le intenzioni l'idea di “patria” dei fascisti fu solo un rituale espiatorio e autodistruttivo. Tutto al servizio dei tedeschi”.
Un'offesa indicibile per i caduti nella guerra di liberazione dalla follia nazifascista, per le vittime di quelle violenze e per i loro familiari, tanto da far insorgere le varie associazioni di ex combattenti, di reduci e partigiani, con iniziative e petizioni. Un oltraggio tale da far dichiarare all'ex presidente della Corte Costituzionale Giuliano Vassalli: “Hanno avuto tutto, l'amnistia di Togliatti, la legittimazione democratica immediata, l'MSI in parlamento, ora sono al potere. Eppure non esiste paese in Europa in cui i collaborazionisti dei nazisti sono stati premiati”.
Fortunatamente, per le forti resistenze attivate, per la congiuntura politica, e per chissà quale bilanciamento di interessi e convenienze partitiche e non, nell'estate scorsa tale proposta è stata abbandonata.
Quel germe, infido e strisciante, ha comunque corroso le fondamenta di una Repubblica democratica che ha l'antifascismo come valore fondante essenziale. Germe corrosivo che, unito allo svuotamento e capovolgimento di senso delle parole, rende possibile e normale, oggi, ricordando la storia di due cugini aderenti alla Rsi: “Teanesi caduti a Salò”, sulle pagine de “Il Sidicino” (n. 11 nov. 2008), sottotitolare l'articolo: “E' bello morire per la patria”, riportando un verso di una poesia di Mimnermo. Facendo assumere dall'autore, e dando così per scontata, una problematicità che non esiste, in merito a quale fosse la Patria: “Quella di Mussolini o di Badoglio? Salò o Brindisi? Regno d'Italia o RSI?”.
Ciò, in questa nostra Teano, dilaniata e devastata dalle nefaste conseguenze della 2^ guerra mondiale, che ha subito la cattura e la deportazione da parte dei tedeschi, aiutati dai fascisti, di centinaia dei suoi uomini strappati all'affetto dei propri cari e costretti, tra inenarrabili sofferenze fisiche e morali, violenze, malattie, e privazioni, a lavorare per quasi due anni in Germania quali schiavi di Hitler; dalla cui prigionia non tutti ritornarono. Straziata dagli eccidi nazisti, dai bombardamenti a tappeto e le conseguenti morti e distruzioni, e dalle violenze dei soldati alleati.
Dove il ricordo dei fatti, circoscritto all'ambito familiare dei sopravvissuti e dei parenti delle vittime, senza dar vita ad un memoria collettiva condivisa, è stato di fatto sistematicamente rimosso.
Un paese in cui, in oltre 60 anni dalla fine di quel cieco e folle conflitto, non si è mai sentito il dovere di un'opera sistematica di ricostruzione degli eventi per rendere omaggio alle vittime, non si è mai attivato alcun procedimento burocratico per ottenere il giusto riconoscimento al valore civile, da parte dello Stato, non si è prodotto alcun atto o documento ufficiale per illustrare e ricordare quei momenti.
Dove solo negli anni ottanta, si è tentato di risarcire in qualche modo la Città, con l'apposizione nell'androne comunale di una lapide a ricordo delle vittime della guerra.
Ma, dove la cura è stata, purtroppo, quasi uguale al male; paradigma della considerazione che le forze politiche, le classi dirigenti hanno riservato alla propria comunità, ai propri caduti. N'è sortito un elenco lacunoso e parziale, con tantissime omissioni, dove si è svilita e si è annullata ogni differenza, appiattendo e spiegando tutto con la divisione tra morti civili e militari, morti sui vari fronti e in “territorio metropolitano”; inserendo, mescolandoli, anche i volontari caduti nelle guerre coloniali d'occupazione.
Senza rendere onore alla verità storica e alle molteplici cause di quelle morti; uniformando e cancellando i momenti, le situazioni, i contesti e le modalità di quelle atroci e ingiustificabili morti.
Facendo scomparire così i caduti per i bombardamenti, per i cannoneggiamenti, per i mitragliamenti degli alleati, gli ammazzati dai nazisti, quelli trucidati per rappresaglia, gli uccisi dai teanesi perché collaborazionisti.
Confondendo i soldati morti combattendo per i folli disegni nazifascisti, in Italia e sui vari fronti di battaglia da aggressori e invasori, o da prigionieri nei campi di concentramento, con quelli caduti per la liberazione della Patria.
Rimuovendo le vittime della deportazione, i morti per le violenze degli alleati, gli “omicidi armistiziali” e, infine, le successive vittime del dopoguerra, in prevalenza ragazzi, per lo scoppio di residuati bellici.
Nessun cenno, poi, al gran numero di sfollati, che dalle vicine città avevano sperato di trovare sicurezza e rifugio nel nostro paese, e che invece vi hanno trovato la morte.
Di converso, in tutti questi anni, il Gonfalone della nostra città e i suoi rappresentanti, non sono mai mancati alle commemorazioni dei caduti di tutti i paesi limitrofi, e alle cerimonie per le onorificenze richieste e ottenute, facendo bella mostra di sé immancabilmente in prima fila.
Non considerando minimamente, però, un'ipotesi emulativa per ricordare e commemorare degnamente i propri di caduti.
Rispondendo invece in modo ambiguo ed elusivo, a mezzo stampa, alla richiesta fatta da chi scrive a chiusura di un articolo a ricordo dei rastrellamenti e della deportazione dei civili, sul numero 11 del novembre 2004 de “Il Sidicino”, di intitolare l’attuale Piazza Umberto I°, teatro dei tragici fatti del 23 settembre 1943, in “Piazza della Memoria - 23 settembre 1943”.
Un popolo senza radici, senza memoria, è un popolo senza futuro.

Martino Amendola
(da Il Sidicino - Anno VII 2010 - n. 1 Gennaio)

Rovine della villa Del Pezzo e Rione S. Maria de Foris - anni ‘60 (foto A. Cossidente)