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Indice Martino Amendola
 
 

Mons. Sperandeo

Uomo del dialogo
 

La figura del vescovo Sperandeo, nei miei ricordi, è legata agli anni del liceo e a quelli immediatamente seguenti, a partire dalla prima metà degli anni '70. Anni densi di impegno politico militante, e di lotte quotidiane e collettive, nelle fila del Partito Comunista, ancora circonfusi dal magma incandescente e vitale del sommovimento culturale e generazionale del '68, per una società più libera, più giusta, di eguali, senza sfruttatori e sfruttati, e per la pace. Tempi di forte contrapposizione con il mondo clericale e le gerarchie ecclesiastiche, su temi quali il divorzio e l'aborto. Mondo col quale, sebbene fossi di estrazione e formazione cattolica, non ero mai riuscito ad entrare in sintonia, per il mio spirito laico e refrattario a qualsiasi dogma o verità rivelata, ma che per quasi tutti i miei amici e compagni di partito aveva rappresentato una tappa obbligata, con il percorso nell'Azione Cattolica, negli Scout, o nei circoli parrocchiali.
Eppure, nonostante ciò, il vescovo Sperandeo ha rappresentato per me e per i teanesi un punto di riferimento obbligato e autorità morale e civile largamente accettata e riconosciuta.
Matteo Sperandeo era per tutti il vescovo della ricostruzione, l'autorità che maggiormente si era contraddistinta negli anni difficili del dopoguerra, per la rinascita materiale e morale del paese, dopo le nefaste conseguenze di quel cieco conflitto che la follia nazi-fascista aveva provocato, con le innumerevoli morti, e le devastazioni, le macerie, che incombevano ovunque.
Teano era diventata, dopo la sua nomina nel 1954, la sua città, i suoi abitanti e quelli della diocesi erano divenuti i suoi concittadini, i suoi fedeli amici, fratelli e sorelle. Pienamente integrato e partecipe della vita comunitaria, conosceva le vicissitudini, le speranze, le gioie e le pene, di tutti, e ad ognuno cercava di dar conforto e aiuto.
Era in questo, perfetto interprete del papato di Giovanni XXIII, il Papa di una chiesa nuova che si apre con estrema umiltà e semplicità al mondo e che con esso dialoga, “quella che risponde alla chiamata di Dio, ma che ricerca la verità, che pecca e che ha bisogno di essere perdonata”: una chiesa che appare quindi non più in possesso dell'esclusiva della salvezza, e dove gli uomini anche senza l'istituzione Chiesa possono salvarsi.
Uomo di profonda e solida cultura ricercava, con noi comunisti in particolare, un dialogo che mai si prefigurava come una disputa tra docente e discente, tra illuminato e ottenebrato, ma sempre tra simili, uguali, che avevano imboccato strade e sentieri diversi che si incrociavano, si divaricavano, si allontanavano, ma sempre alla luce del sole e in nome dei valori condivisi dell'uguaglianza, della pace, della giustizia, della libertà.
Mi torna alla mente l'incontro avuto con lui, quando con un amico universitario andammo per una ricerca storica nella biblioteca del Vescovado, e del piacevole discorrere di questioni filosofiche e politiche, sempre sollecitati e incalzati in un confronto aperto e senza pregiudizi di sorta, nell'assunto che ogni persona non è mai solo bianca o solo nera, solo buona o cattiva e che comunque “omnia munda mundis”.
Ai nostri occhi non rappresentava, perciò, la figura cattolica del pastore che pascola e custodisce il gregge a lui affidato e a cui indica la giusta via, né, tanto meno ci sentivamo noi gregge indistinto e belante.
Per noi, poteva più facilmente essere rapportato ai vecchi medici condotti, ai curati di campagna, sempre pronti, di notte e di giorno, col sole e con la neve, ad intervenire in aiuto di chiunque ne avesse avuto bisogno, buono o cattivo, ricco o povero, senza alcuna pretesa se non con la consapevolezza di portare conforto e aiuto.
Ricordo, ancora, dei tentativi da parte di alcuni preti della curia di voler sottrarre al pubblico uso l'unico campo sportivo teanese, il “Medori”, di proprietà della chiesa ma utilizzato da tutti, dalle società sportive e dai giovani che trovavano nel gioco del calcio l'unico svago e impegno post scolastico possibile. E la sua risoluta volontà a far beneficiare tutti di quel bene tanto prezioso per il paese, fino a prefigurare in quello spazio e nell'area del giardino del Seminario la creazione di un parco verde attrezzato, come cuore e polmone per la città, dove i ragazzi e le famiglie potessero giocare e svagarsi tranquilli e senza patemi.
Ma, altri sono succeduti a lui e preoccupazioni più prosaiche, temporali e terrene, hanno avuto il sopravvento, e dove l'interesse collettivo e primario, e la volontà del vescovo Sperandeo, esigeva un oasi verde, fabbricati grigi e anonimi hanno visto la luce.
I tempi sono certamente mutati, le esigenze, anche del clero, sono cambiate e aumentate, ma lo spirito che deve alimentare e muovere le persone impegnate nella vita di una comunità, civile e religiosa, non può in alcun modo venir scalfito o corroso da interessi e vanità che hanno consistenza solida e reale nell'immediato ma eterea e impalpabile nel prosieguo degli anni.
Perciò, è ancora solido e presente il ricordo del vescovo Sperandeo, e chiaro il senso del suo continuo interrogarsi e dialogare con tutti, perché: “è difficile dire (cercare) la verità, perché ne esiste bensì una sola ma è viva e possiede pertanto un volto vivo e mutevole”.

Martino Amendola
(da Il Sidicino - Anno V 2008 - n. 12 Dicembre - Inserto speciale)