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Paolo Cristiano - “Un’avventura dell’essere…

nell'urlo della luce”
 
 

La riapertura della ex Chiesa dell’Annunziata, dopo i discutibili (a dir poco) e interminabili lavori di restauro di quella che fu la più bella chiesa barocca del casertano, opera di Domenico Antonio Vaccaro, distrutta dai bombardamenti degli alleati nell’infausto ottobre 1943, non poteva trovare momento e accostamento migliore di quello determinato, con fortuita coincidenza, dall’esposizione delle opere che Paolo Cristiano ha donato alla sua città natale.
I visitatori hanno così potuto rivedere, o vedere per la prima volta, uno dei luoghi più significativi dell’architettura cittadina, sebbene spoglia dei pregevoli tesori, rappresentati dalle sculture, dai preziosi stucchi, dagli arredi, dal magnifico pavimento maiolicato, dalle grandi pale d’altare, di cui tre del Cestaro, che irrimediabilmente sono andati perduti, e contemporaneamente ammirare le opere del Cristiano.
La mostra, inaugurata il 26 ottobre, è stata per un mese esposta nella chiesa e successivamente collocata in due sale, dedicate all’artista sidicino, della Biblioteca comunale.
Paolo Cristiano, nato a Teano nel 1919, educato ad una rigida e severa disciplina dal padre, stimato preside del Ginnasio, uomo “rigoroso e inflessibile”, ha appena dieci anni quando comincia a disegnare e a dipingere, invogliato dallo zio materno. Bambino avido di conoscenza e di spazi, si dimostra spirito libero e ribelle e tra i dodici e i quattordici anni scappa di casa più volte. La sua meta è Urbino, la patria di Raffaello, ove visita varie volte il Palazzo Ducale, il Duomo e la Galleria Nazionale per ammirare da vicino i capolavori di Piero della Francesca, Paolo Uccello, Luca Signorelli, Tiziano, Bellini. Riportato a Teano, e completato il Ginnasio, si iscrive al Liceo “Bianchi” di Napoli dove, oltre a continuare a coltivare la passione per la pittura, si dedica alla lettura e allo studio appassionato dei poeti greci, latini, e dei classici italiani, manifestando l’altra linea di sviluppo della sua sensibilità artistica. Si scrive all’Università di Napoli, in seguito si trasferisce a Firenze e qui si laurea in Giurisprudenza. In questa città conosce Papini, che apprezza i suoi versi e gli offre una collaborazione al “Frontespizio”, si immerge e “annega” nella lirica moderna e nei capolavori di Montale, Saba, Ungaretti e, poi, nei versi di Baudelaire, Valery, Rimbaud, Eliot, Holderlin, Rilke. Più tardi entra in contatto con gli ambienti dell’Accademia di Belle Arti e con Giovanni Colacicchi, che sarà il suo “unico vero maestro” che lo consiglia e lo indirizza aprendogli “l’immenso mondo della pittura”. A Firenze opera la scelta antifascista, collabora a pubblicazioni semi clandestine di gruppi universitari avversi il regime, e dopo un aspro scontro con il rappresentante del PNF, mandato da Roma per sedare la nascente rivolta, decide di arruolarsi volontario, in risposta alle accuse di disfattismo e vigliaccheria, “rimandando al ritorno i conti per un radicale cambiamento”. Si trovainSicilia durante lo sbarco degli alleati, quindi al nord, a Treviso e qui, in seguito al dissolvimento dell’esercito italiano e all’occupazione tedesca, entra nella Resistenza con i partigiani della Brigata Matteotti.
Nel dicembre del ‘43 viene catturato dai tedeschi, processato e condannato per le azioni di lotta clandestina è mandato in un campo di concentramento in Germania: Monaco, Homburg, Schwandorf, Norimberga, sono le tappe della sua prigionia.
Ad Homburg ritrova alcuni compaesani e da loro apprende della cattura e della deportazione, nella mattina del 23 settembre ‘43 in Piazza Umberto I, degli uomini abili al lavoro, attirati e ingannati, con la falsa promessa di un lavoro, dai nazisti con la sciagurata corresponsabilità dei fascisti.
Finita la guerra ritorna a Teano e la ritrova devastata dai bombardamenti, non più metaforicamente “una rovina fuori dalle rovine”, come l’aveva descritta qualche tempo prima, per il suo essere una realtà circoscritta e chiusa, “nonostante Marx, Goethe, Husserl, la televisione, gli aerei, l’informatica, un’isola nell’immenso mondofuori dallo stupore avveniristico e dalle contraddizioni attuali”, ma realmente e drammaticamente un cumulo di macerie.
Ricomincia a dipingere, pensando di dedicarsi anima e corpo all’arte, ma la famiglia lo invoglia a intraprendere la professione forense, e ad accettare il successivo impiego quale legale di ruolo dell’INPS.
Questa circostanza, se da un lato restringe entro confini ben definiti l’esplicazione della sua passione, dall’altro però, portandolo in giro per l’Italia, favorisce il contatto con circoli e ambienti culturali, disparati e dinamici, che incentivano una conoscenza e uno scambio che saranno sempre più stimolo e fermento per la sua ricerca pittorica e poetica.
Comincia così un percorso artistico in cui si intrecciano fittamente, in maniera inestricabile, i sentieri che spaziano dagli orizzonti luministici e colorati delle tele, alla suggestione, al ritmo, alla musicalità della parola delle pagine poetiche, in un continuo gioco di rimandi, citazioni, allusioni.
Espone a Saint Vincent, all’VIII Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma, alla II Internazionale d’Arte di Roma, alla successiva III Internazionale, in tantissime Gallerie in Italia, in mostre collettive e personali, che gli procurano consensi e riconoscimenti.
L’editore Rebellato di Padova, pubblica nel 1961 la sua prima raccolta di poesie, “Non redime saperlo”, nel 1963 “Il Contemporaneo” pubblica due sue poesie, nel 1964 sul n. 11 della prestigiosa rivista “Il Ponte” di Firenze, appare un estratto dal suo poemetto “Passaggio ai Paolotti”, poi “Tra muro e muro” nel 1965, “Dopo la fine” nel 1968, ”Le mani vuote” nel 1976, e diverse altre raccolte succedutesi negli anni, fino all’ultima pubblicata a Venezia, nel 2005 da Spinea editore, “Le Piaghe di Giobbe e speranza”.
La sua poetica, intrisa di lievità e disincanto, di ironica malinconia, quale ulteriore sviluppo dei temi e dei processi mentali del percorso pittorico, “possiede una propria originalità e non accetta ascendenze” come annota Libero de Libero che, con Leonardo Sinisgalli e Mario Pomilio, lo sostiene con stima e amicizia.
I luoghi ci offrono le cose da amare, il tempo ci sottrae ciò che amiamo e ci lascia turbe di fantasmi, per i quali, dall’uno all’altro si accende il desiderio. Perciò l’anima diviene inquieta e infelice, col desiderio di possedere ciò da cui è posseduta”, questa citazione di S. Agostino posta sul frontespizio di “Luoghi e stagioni”, la sua “quasi autobiografia”, in cui ripercorre le tappe fondamentali della sua esistenza, tra ricordi veri e sapiente mescolanza di fantasia e immaginazione, ci dà il senso pieno della tematica che ha permeato e guidato il suo percorso artistico, poetico e pittorico. Ci offre le giuste coordinate per addentrarci nel suo cosmo, dominato da passioni civili, impegno politico, tensione morale, incessante ricerca di un mondo ideale, pervaso dalla “poesia dei colori, degli umori e dei sentimenti”, mediante la rappresentazione, con felice commistione di senso e sentimento, di stati d’animo, e di luoghi dell’anima continuamente rivisitati, resa immediatamente percepibile ed espressiva con prorompente forza plastica, e luminosa esplosione coloristica.
Nelle sue opere il colore è protagonista assoluto, che tutto plasma e ammanta, reso con pennellate ora dense e decise, con tonalità accese e calda passionalità, ora soffuse ed eteree, rischiarando e ammorbidendo i toni, velando, in un’atmosfera rarefatta, evanescente ed intimista, i soggetti, in immagini semplificate, scarnificate fino alla deformazione e al grottesco.
E poi il paesaggio, delle foreste, dei campi, degli idilli e dei luoghi ancestrali, dove proietta le sue emozioni, il suo io più profondo, fa emergere lo stridente contrasto tra gli ideali e la reale condizione dell’uomo moderno, e da cui scaturisce forte un senso di disagio, malinconia e nostalgia. Nostalgia per una natura ed un ambiente che un malinteso senso del progresso hanno irrimediabilmente intaccato e degradato, e da cui promana la serie delle periferie, dei boschi, e dei campi, ridotti, ormai, a sfondo per il segno inconfondibile e centrale prodotto da questa civiltà disumanizzata dei consumi: i bidoni dei rifiuti.
Il suo segno, con quel “risultato materico che ricorda l’affresco, il pastello, quella opacità setosa” si alimenta, cresce e si fortifica, di quell’humus che ha caratterizzato la cultura espressionista, e le avanguardie tedesche, i suoi soggetti, rappresentazione e oggettivazione di percezione d’eventi e di “emozione visiva”, sono espressione di una cultura e di valori cui profondamente, politicamente ed eticamente fa riferimento.
I 18 quadri donati, 19 con “Al sole” già presente da anni nella stanza del Sindaco, tratteggiano abbastanza compiutamente l’attività pittorica di oltre un cinquantennio, e rappresentano il nucleo fondante di un allestimento permanente  destinato, come espresso formalmente  da Paolo Cristiano, ad arricchirsi ulteriormente con futuri lasciti.
Le opere in mostra denotano immagini e reminiscenze di atmosfere, stati d’animo, “topoi”, luoghi dell’animo, che prepotentemente riemergono dai più reconditi recessi, e si stagliano indelebilmente sulla tela. Da questo percorso nascono: ”Colloquio” (1960), “Per rematore dell’Averno” (1960), “Vangatori” (1960), “Incontro” (1962), “Dal balcone”(1962), “Danza”(1963), “Profilo di contadina” (1965), “Omaggio a Giacometti” (1966).
Attraverso una visione fortemente emotiva, che riflette ciò che appare alla retina e lo assume empaticamente, raffigura Teano e i suoi abitanti: “se l’ho amata! con il suo campanile a pera, colorato di mattonelle gialle e azzurrine. L’orologio grande che suonava, per tutti, le ore, le mezze e i quarti. I suoi abitanti più o meno matti, estrosi, disponibili, pezzenti e gran signori. Quanto vorrei parlarne”. Con “Al sole” (1960) delinea, con realismo e pathos,la quotidianitàdi sventurati teanesi che la triste realtà colloca ai margini dell’esistenza, personaggi senza tempo e senza radici, da dramma beckettiano, in perenne attesa, sui gradini di Piazza Umberto I, di un domani diverso che non arriva mai.
Con “Carnevale I” (1958) e “Carnevale II” (1959), rappresentazionicomplesse e minuziose di uno dei momenti più suggestivi e sentiti di una atavica cultura popolare, riproduce “questi affascinanti spettacoli in composizioni pittoriche, inseguendone le inimmaginabili atmosfere e la coralità della passione”. Qui i riferimenti a Munch, Ensor, Kirchner sono precisi ed espliciti, ma evidenti sono anche i richiami a Picasso, e a Chagall e al realismo fantastico, con le figure volanti, il campanile dell’Annunziata sbilenco, e le immagini del culmine della festa, sul terrazzo della “Casina”, sospese tra sogno e realtà.
“Viadotto” (1972), “Foresta” (1980), “Riflessi” (1980), “Composizione” (1981), evocano quello che l’artista definisce “l’immagine pura, l’insieme indefinito, quel non-senso misterico d’un qualcosa proprio della luce e dei suoi giochi, dell’apparire e dei suoi tradimenti”.
“Eden” (1994), “Schiene e nuvola” (1989/98), “La notte e la rosa” (2002), “Al tramonto d’autunno” (2003/04), sono limpide esternazioni di un mondo onirico e poetico, di edeniche atmosfere, di idilli amorosi,dove l’animo, alleggerito dalle pene dell’essere, si rarefà, si annulla e diventa, in un catartico abbraccio, tutt’uno con la natura, in una continua ricerca di una condizione ideale, sempre anelata, inseguita e mai sfiorata, allorquando:leggera luminosità di membra/insiste all’orizzonte/e gli occhi negli occhi ci affidiamo/ nell’avventura d’essere/nella penombra che prelude/l’urlo della luce”.
Dopo il vivo interesse suscitato con la mostra tenuta nel “Museo garibaldino”, dal 20 maggio al 4 giugno 2006, questa esposizione dell’Annunziata ha catalizzato l’attenzione e la curiosità dei visitatori, oltre che sulle opere, sullo stile e sulle tematiche, sulla biografia di Paolo Cristiano e sui suoi legami con il paese nativo, riallacciando, così, un percorso che la vita aveva diviso.
Determinando il felice “nostoi” dell’artista alla sua terra d’origine, facendo ritrovare e rinsaldare radici comuni mai recise e che, nel suo caso, altrove hanno generato germogli vitali e distillato poesia e colore, nel faticoso cammino per il compimento di “un’avventura dell’essere”, nell’ “urlo della luce”.
“Urlo della luce”, che possa illuminare e guidare i nostri amministratori che, cogliendo l’opportunità data da questo fortuito evento, lavorino per ridare omogeneità di destinazione e d’uso all’antico complesso dell’ “Ave Gratia Plena”. Affinché, liberando i locali attualmente in uso alla Direzione sanitaria dell’ASL, li rendano atti alla creazione di una Galleria degli artisti sidicini che si sono distinti nel corso del tempo, e di laboratori didattici: di musica, di tecnica di riproduzione delle immagini, di fotografia e cinematografia, di falegnameria ed ebanisteria, di ceramica, e di una fucina per la lavorazione dei metalli (rame in primis).
Tutto ciò, unitamente alla Biblioteca e alle sue funzioni, alle potenzialità d’uso dell’Annunziata per mostre, convegni, concerti, proiezioni, per dar vita ad un Polo Culturale territoriale che, inserendosi in un più ampio circuito turistico culturale, legato alle ricchezze storico-artistiche e ambientali del nostro comprensorio, possa servire da volano di crescita sociale e di progresso culturale.

Martino Amendola
(da Il Sidicino - Anno V 2008 - n. 1 Gennaio)