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I monaci cassinesi a Teano nel IX secolo: una storia ancora
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Don Gregorio, monaco dell'Abbazia di Montecassino e addetto alla Biblioteca più affascinante del mondo, in una fresca mattinata, con l'ennesimo incunabolo tra le mani, mi dice: “Ci avete bruciato la Regola!”. Il peccato originale fu compiuto proprio a Teano, nel IX secolo, dove i monaci cassinesi si erano ritirati per sfuggire all'attacco saraceno, che portò alla seconda delle quattro distruzioni dell'Abbazia cassinese. A Teano i monaci avevano condotto la preziosa Regola autografa di San Benedetto, e in un incendio andò perduta. Mi dispiace per Don Gregorio, monaco del ventunesimo secolo, che baratterebbe la biblioteca intera per quella regola autografa e mi dispiace per Teano, che ha nella storia passata e recente il triste titolo di luogo incapace di conservare per trasmettere.
Gli storici hanno abilmente risolto la trama oscura di questo periodo in qualche rigo: i monaci vi si rifugiarono dall'883 al 915, vi bruciò la Regola nell'896 (si salvò solo l'ultimo capitolo, andato perduto nel XVIII secolo durante l'invasione e il saccheggio francese), alcuni monaci divennero vescovi della città. Nessun brivido: una noiosissima storia di transizione, per di più oscurata da quella che dal 915 in poi i monaci vissero a Capua (una storia di dissoluzione e rilassamento, ma perlomeno più interessante).
Sembra che la storia che ho tentato di ricostruire sia un'altra. Innanzitutto mi sono chiesta: perché, tra le tante celle e possedimenti del patrimonio di San Benedetto, i monaci si trasferirono proprio a Teano, che non era neanche una città sicura, visti i saraceni accampati al Garigliano? E' possibile che i monaci benedettini, avvezzi all'arte e alla cultura, non lasciassero una loro impronta nel dibattito del secolo? Come si spiega l'elezione di alcuni monaci a vescovi della città?
La fuga verso Teano non poteva essere spiegata solo per l'accessibilità attraverso la Via Latina, o per la vicinanza a Montecassino che permetteva di organizzare il ritorno e la ricostruzione; infatti è un'amicizia che va al di là della seconda distruzione dell'abbazia. A Teano la tradizione benedettina era precedente a quell'evento, data la fondazione della chiesa di San Benedetto non prima dell'804, di S. Maria de Intus intorno all'860, anno in cui era vescovo il monaco e diacono Ilario di Montecassino, anno in cui Bertario, abate di Montecassino avrebbe pagato un riscatto ai saraceni per impedire il saccheggio della città. Quindi l'esperienza benedettina era precedente al trasferimento dei cassinesi, e solo in virtù di questo, giustificabile.
A Teano il cenobio di San Benedetto fu luogo di menti creative: Erchemperto, autore di una storia dei longobardi, e un chierico-poeta, Eugenius Vulgarius, qui trovò rifugio. Il suo nome si lega alla disputa sulla legittimità delle ordinazioni sacerdotali del papa Formoso, di cui era sostenitore, attirandosi l'avversità del successore, papa Sergio III, che relegò Vulgarius in un monastero da identificarsi con la residenza dei monaci a Teano, dove si trovava anche un altro sostenitore del papa Formoso, il sacerdote Ausilio. Insomma, si legano al cenobio teanese nomi tutt'altro che dormienti, vicende tutt'altro che statiche: il papa Formoso fu scomunicato in vita e in morte, è nome che attrae a sé i meccanismi più oscuri, scene macabre di una Chiesa che si affaticava alle soglie del primo millennio.
Ciò rivela che il cenobio di Teano era al centro di un dibattito che interessava tutta la Chiesa, e con la Chiesa aveva continui rapporti, come dimostra il tentativo del Vescovo di Teano, Leone, di impedire l'elezione episcopale di Landenolfo presso il papa Giovanni che lo consacrò ugualmente: la ragione sarà forse l'identificazione di Teano con un partito sostenitore di Formoso?
Anche Erchemperto si sarebbe recato a Roma presso il papa Stefano V, quando il duca Atenolfo si era impossessato dei beni che i monaci di Teano avevano a Capua. Il cerchio si allarga sorprendentemente: nel 911 Vulgarius compose un poema adulatorio per Leone VI, imperatore d'Oriente, che nello stesso anno concedeva ai monaci di Teano notevoli privilegi. Era il primo imperatore d'Oriente a farlo e il successivo documento di un imperatore a favore dell'ordine benedettino si attesta al 1054. Il cenobio di Teano? Tutt'altro che una realtà rarefatta e senza identità.
Angelario, Ragemprando, Leone furono gli abati della comunità in esilio, e il primo divenne vescovo della città nell'889. Se si considera che dal IV secolo c'è un vuoto nella storia dei vescovi di Teano – e ciò potrebbe dipendere non tanto dalla perdita di documenti, ma dalla soppressione di alcuni vescovadi per lo spopolamento dei centri e la scomparsa della via domiziana – e la serie riprende dal IX secolo, ciò sarà forse dovuto all'azione delle celle benedettine, “centri di popolamento”, focolari attraenti.
Le conferme dei beni donati e posseduti rilasciate dai principi di Capua hanno scandito la permanenza a Teano, ma proprio nel tentativo di affrancarsi da una subordinazione, in realtà i monaci sancivano la loro sottomissione. I principi Landolfo e Atenolfo imposero come abate il loro parente Giovanni, che portò i monaci a Capua, dove non c'era neanche una struttura idonea per la loro accoglienza, che fu eretta più tardi, tanta era la fame dei principi di fare dei monaci lo strumento della loro politica (come nel caso di Giovanni, inviato all'imperatore Leone a Costantinopoli perché si liberasse il Garigliano) e la comunità fu resa cortigiana, allentava la disciplina a una condotta disonesta – com'è stato tramandato – “per desiderio di gloria mondana dei principi”.
Il monastero di San Benedetto non restò del tutto disabitato ma continuò a ospitare pochi monaci: è destinatario di donazioni e privilegi per lungo tempo fino al XII secolo e al XIV secolo risale un inventario che ne attesta la vitalità. Documenti interessanti, ancora del tutto inediti, rivelano che i monaci erano attivamente impegnati in compravendite e disponevano dei loro averi liberamente, vivevano soli ed erano detti “romiti”, cioè “monaci del secolo”. Un documento inedito del 979 testimonia la cessione da parte dell'abate Aligerno di un territorio vicino la chiesa di S. Maria de Intus in cambio di un territorio nei pressi di San Benedetto: ciò indica come la comunità fosse ancora vitale e attiva, vista la volontà di assemblarvi intorno case e terreni. La cessione a Capua risale al 1117. Con l'avvento dei francescani è probabile che tramontasse l'influenza benedettina, fino al XIV secolo unica emittente e destinataria di storia: proprio allora si eresse la chiesa di San Francesco nel cuore della città, poco lontano dalla Cattedrale, e dalla stessa San Benedetto, tre edifici vertici di un triangolo nella vita religiosa della città fino ad oggi.
Troppi interrogativi puntellano ancora questa storia nebbiosa, senza accontentare né lo storico, né l'appassionato abitante, ma forse solo il romanziere che crea dal niente, eppure solo così il passato non ci scorre più addosso distrattamente.

Maria Rosaria Altieri
(da il Sidicino - Anno VIII 2011 - n. 10 - Ottobre)