Sabato 20 dicembre 2003, nella sala conferenze del Museo Archeologico, l’Associazione “Erchemperto” ha presentato il primo numero de “Il Sidicino” con una conferenza del prof. Gerardo Sangermano, ordinario di Storia medievale nell’Università di Salerno. Dopo il saluto del presidente dell’Associazione Pasquale Giorgio, che ha illustrato finalità e modalità operative dell’associazione, il dott. Claudio Gliottone ha presentato il primo numero del mensile, esaltando l’importanza della vera comunicazione con l’icastica espressione: “la conoscenza è la trasformazione delle informazioni in valori”. Diamo di seguito una sintesi della conferenza del prof. Sangermano.
L’argomento, “Erchemperto: un monaco-scrittore tra i contrasti e le seduzioni del secolo”, risultava ben difficile da trattare esaurientemente, stante la scarsità di notizie di cui a tutt’oggi siamo in possesso. Ciò nonostante, il prof. Sangermano si è piacevolmente dilungato per circa un’ora, contribuendo a diradare un po’ le nebbie che avvolgono la figura di questo personaggio. Si tratta, per la precisione, di un nostro concittadino, almeno a leggere in Chronica Monasterii Cassinensis secondo i quali egli sarebbe figlio di Adelgario, nobile teanese. La sua nascita dovrebbe collocarsi nel IX secolo, ma è incerto l’anno, come del pari sono incerti il luogo e la data in cui ricevette gli ordini benedettini. Un punto fermo, tuttavia, è rappresentato dalla sua opera storica, e, precisamente, dalla “Historiola dei Longobardi di Benevento” che copre un arco di temporale di un secolo (dal 787 all’889, presumibile anno della morte di Berengario). Come acutamente notò un grande storico -Giorgio Falco- Erchemperto entra di colpo nella storia e con altrettanta rapidità ne esce, senza un’apparente ragione. Il titolo della sua opera principale, Historiola (Piccola storia), vuole sottolineare il suo debito culturale nei confronti di Paolo Diacono (doctor in storiografia), autore della fondamentale Historia Langobardorum. Precisamente, Erchemperto fa parte di una corrente storiografica tutta Cassinese, tra cui ricordiamo il Cronista di Salerno ed il Cronista dei Normanni (identificato in Amato di Montecassino). Egli, all’inizio della sua opera opera, si presenta come “Ego Herchempertus”, quasi a voler riaffermare la propria etnia: d’altra parte non mancano le citazioni classiche e, segnatamente, una virgiliana allorché ricorda che si è accinto a raccontare gli avvenimenti perché fossero di ammonimento ai posteri. Specificamente, quella di Erchemperto è la storia della crisi di un popolo che pure ha dominato sull’Italia Meridionale: la cosiddetta Langobardia Minore si mostrò subito autonoma da quella Settentrionale (definita come Langobardia megale dai cronisti greci) e, nei fatti, riuscì a sopravvivere a questa per ben tre secoli. Il clima in cui si forma Erchemperto è quello di un continuo incontro-scontro fra culture diverse: quella bizantina, quella araba e quella originaria latina.
Egli tende a stigmatizzare taluni atteggiamenti dei Greci (ossia, dei Bizantini), anche sulla scia delle contese tra costoro ed i Longobardi per il predominio sul territorio. Mette in luce le trappole e le astuzie degli uni e degli altri, non mancando di rilevare, tuttavia, come i Greci abbiano costumi peggiori di quelli dei Saraceni, in quanto non disdegnano vendere come schiavi a quest’ultimi i Cristiani fatti prigionieri: perciò, conclude Echemperto, essi sono spergiuri e spregiatori di Dio. Seppure quella di cui sopra sia una verità storica ampiamente provata, non si deve però tacere il fatto che i Greci del Mezzogiorno rappresentano una fiorente civiltà mercantile che, per ciò stesso, ha necessità di avere rapporti con i Saraceni (il che, d’altra parte, valeva anche per le Repubbliche marinare).
Che Erchemperto sia un uomo che vive in pieno la realtà del suo tempo è testimoniato anche dalla virulenza con cui si scaglia contro i Napoletani, da lui ritenuti pronti a ricorrere ad astuzie ed inganni: è, questo, il calco letterario della Graecia mendax, di cui si può trovare traccia anche nell’Epitaffio di Sicone (principe di Benevento) ove i Napoletani sono definiti “falsidici viri” (in altre parole, imbroglioni).
Oltre che narratore di fatti, Erchemperto è anche un navigato conoscitore delle scaltrezze della politica, il che sembra farne un antesignano dei teorici delle spregiudicatezze rinascimentali (il pensiero corre, in primo luogo, a Niccolò Machiavelli): ad es., si rende conto che Capua, per poter crescere, deve giocare d’astuzia, mettendo l’un contro l’altra Salerno e Benevento.
Ci si può ben rendere conto delle grandi capacità narrative dei cronisti meridionali, i quali, non a caso, danno vita ad una sorta di scuola, da taluni detta “benedettino-cassinese”, come a voler sottolineare l’ambiente in cui queste esimie personalità si formano. Caratteristica comune è quella di arricchire il fatto storico con l’aneddoto, secondo la tipica struttura degli exempla medievali.
Il tratto forse più caratterizzante della storiografia meridionale, però, risiede, a ben vedere, altrove: precisamente, nel fatto che, mentre le narrazioni medievali prendono l’avvio da Adamo ed Eva per giungere sino agli eventi futuri (ossia, sino alla venuta dell’Anticristo ed alla conseguente fine del mondo), quelle meridionali, invece, hanno, quale momento conclusivo del loro racconto, la fine degli avvenimenti che gli autori hanno scelto di trattare (talora, la fine può essere dovuta anche ad altre cause, come ad es. la morte degli autori stessi: il che, poi, sembra essere l’ipotesi più plausibile per quanto specificamente attiene ad Erchemperto ed al Cronista di Salerno).
In ultima analisi, si può dire che, per questi storici, non vale l’ipotiposi del Bartoli secondo cui essi scrivevano al riparo delle mura dei monasteri sordi ai richiami ed alle realtà della vita quotidiana che prorompeva al di là delle mura conventuali (immagine che tanto piacque al Croce): in verità, erano proprio questi storici quelli che andavano incontro al secolo, che ben conoscevano.
Emanuele Verdolotti
(da il Sidicino - Anno I 2004 - n. 1 - Gennaio)